sabato 23 novembre 2024

Nonviolenza o Barbarie

Il 22, 23 novembre scorsi la terza marcia mondiale per la pace e la nonviolenza ha fatto tappa in Piemonte, a Torino e Ivrea.

La marcia, la cui prima edizione si è svolta nel 2009, si prefigge di “creare coscienza, valorizzare le azioni positive, dare voce alle nuove generazioni e alla cultura della nonviolenza”. Attraverso l’organizzazione di varie iniziative, manifestazioni, conferenze, è di stimolo ad approfondire le ragioni della crisi attuale e cercare soluzioni per uscirne.

Ed è quello che mi provo a fare con questo scritto.  

La seconda edizione, nel 2020, fu interrotta dalla pandemia; il capitalismo tecnocratico che, intriso della mentalità positivista, si riteneva invincibile, veniva sconvolto da un semplice virus.

Fu uno choc, ma per un momento sembrava anche indurre un positivo ripensamento, facendo prendere coscienza di quali fossero i veri pericoli per la sicurezza, e, soprattutto, rendendo evidente che solo una umanità solidale e cooperante poteva affrontare nemici del genere.

Che le spese sanitarie fossero più importanti di quelle militari è stata una breve speranza.

Appena usciti dalla pandemia, l’invasione criminale dell’Ucraina ci ha riprecipitato nell’incubo della guerra.

Papa Francesco aveva parlato già anni prima di una guerra mondiale a pezzi: diversi conflitti armati, più di 50, erano in corso da tempo, alcuni di questi con centinaia di migliaia di morti.

Con il febbraio 2022 si apriva, per la prima volta dal 1945, un confronto diretto tra le due superpotenze militari, dotate di un arsenale nucleare in grado di distruggere il mondo più volte.

E non c’è alcun dubbio che gli ucraini, che, non scordiamolo mai, hanno ragioni da vendere ad opporsi a quella che, comunque sia stata provocata, è un’aggressione ad un Paese libero ed indipendente, che solo nella concezione geopolitica che vede gli imperi confrontarsi tra loro, può considerarsi come territorio di influenza russo, gli ucraini, dicevo, sono le truppe che combattono per conto dell’Occidente, e del suo Paese guida ed imperiale una guerra per l’egemonia contro la Russia.

Da quel momento i vari pezzi si stanno ricompattando, risucchiando, come un buco nero gravitazionale, tutte le potenze, piccole e grandi, verso lo scontro globale.

Anche il conflitto tra Palestinesi e Israeliani, che va avanti da più di 70 anni, e che ha raggiunto un livello di violenza mai visto, sta rientrando nello scontro globale. Uno scontro che vede l’Occidente contro Resto del mondo; e Israele è l’avamposto dell’Occidente; e questa è la ragione per cui, magari storcendo il naso, a Netanyahu tutto è permesso, anche di procedere ad una vera “pulizia etnica” tramite un massacro che risolva una volta per tutte la questione palestinese, in spregio plateale al diritto internazionale.

L’Europa si sta gettando in una folle corsa agli armamenti che ricorda sinistramente la situazione dei primi del Novecento, mentre la deterrenza, come allora, non funziona più.

Da tutte le parti, in tutti i conflitti, tutti gli attori sembrano credere unicamente alla forza militare.

Le voci di pace vengono isolate, sommerse di improperi, tacciate di “intelligenza con il nemico”, mentre economia, cultura, scienza, persino lo sport, vengono piegate alle necessità della prossima guerra.

In un mondo siffatto, proporre la nonviolenza come stile della politica può apparire estremamente ingenuo, una follia da anime belle.

Certo, oggi una politica nonviolenta è più difficile e più lontana di quanto non lo fosse 14 anni fa, ai tempi della prima marcia, e ben più dell’89, quando con la caduta del muro per opera di più lotte e resistenze nonviolente, sembrava schiudersi un mondo dove la guerra venisse finalmente bandita dalla storia.

Ma proprio oggi risulta più chiaro che mai che ci troviamo di fronte ad una scelta netta: nonviolenza o barbarie, parafrasando la Rosa Luxemburg socialista e pacifista del 1914.

La prosecuzione di una politica basata sulla potenza, sulla forza militare, sulla geopolitica imperiale non può che portare ad una guerra globale di tutti contro tutti, al termine della quale ci sarà l’uso delle armi nucleari. L’ennesimo, sempre più minaccioso scambio di minacce nucleari tra Putin e l’Occidente lo dimostra una volta di più.

Ma in che modo si può intraprendere un cambiamento?

Occorre provare ad elaborare una strategia di passi per invertire la rotta, che possa poi diventare programma politico; denunciare i pericoli, proclamare la necessità della pace, è importante, ma non è sufficiente; le idee possono andare avanti se si individua una alternativa credibile ed i passi per arrivarci. Provo ad individuare a grandi linee questi passi

Il primo è un cessate il fuoco generalizzato, su tutti i fronti. E’ la precondizione per tutti gli altri; non è la pace, men che meno la pace giusta, ma continuando a combattere, a uccidere, a distruggere, si chiudono tutte le vie di trattativa, si favoriscono le pulsioni di vendetta, si rende più difficile qualsiasi soluzione, avviandosi in una continua escalation. Non si devono porre condizioni se non quella di smettere di sparare, a Kiev, a Gaza, ovunque.

Il secondo passo sarà la ricerca di soluzioni diplomatiche che possano realizzare una pace più giusta e concordata che punti a risolvere le ragioni di fondo che hanno portato a questi conflitti.

Difficilissimo da realizzarsi, ma va privilegiata la strada della trattativa, e le trattative si fanno con gli avversari, con quelli che hanno provocato il conflitto, stringendo mani sporche di sangue; lo sforzo va fatto, con la coscienza che ogni compromesso è migliorabile, ma la guerra è sempre la (non)soluzione peggiore.

Il terzo passo, contemporaneo al precedente, è la rivitalizzazione di quegli istituti internazionali, a cominciare dall’ONU, ma anche la CSCE, creati apposta per prevenire il degenerare dei conflitti in guerre.

Quarto: accordi di disarmo generalizzato concordato e verificabile. Il dannato 2022 si era aperto con un appello di premi Nobel, filosofi, politici, uomini e donne di cultura per un taglio delle spese militari generalizzato ed uguale, il 2%: paradossalmente la risposta è stata l’invasione dell’Ucraina, ma va ripreso. E il primo disarmo da riprendere è quello delle armi nucleari. C’è un trattato ONU che le mette al bando, ma si possono trovare passi intermedi, il ripristino dei trattati degli anni’90 (INF, START) oggi stracciati, un accordo sul no first use.

Tutto ciò va accompagnato da una diffusione del metodo della resistenza nonviolenta, della lotta nonviolenta.

L’espansione dell’educazione alla nonviolenza intesa soprattutto come studio analisi, ricerca sui metodi per risolvere i conflitti internazionali e sociali, nel passato nel presente e nel futuro.

Solo in un mondo senza guerre si può pensare di ottenere maggiore libertà, redistribuzione equa delle risorse, rispetto della natura, affrontare il problema dei cambiamenti climatici, superare le discriminazioni, realizzare una maggiore cooperazione nella cultura, nella scienza, nell’economia.

E’ questa una pace giusta, non il disegno di confini, del tutto innaturali, tra Stati sovrani, che in una logica di pace dovrebbero estinguersi, quanto meno ridursi ad entità amministrative

Questo dovrebbe diventare un piano politico per la pace; ma occorre che si formi una vasta coalizione popolare di massa, che può nascere solo mettendo insieme le forze politiche, sociali, religiose coscienti di questo; i persuasi della nonviolenza, per dirla con Capitini, dovrebbero fare da innesco, da lievito di questa coalizione.

La posta in gioco è alta.

La nonviolenza deve diventare lo stile della politica del XXI secolo, l’alternativa è la barbarie, se non l’apocalisse.

 



venerdì 11 ottobre 2024

Bombe sull'ONU: ora tocca all'Italia

Nella sua foga di spargere guerra e distruzione ovunque, Israele, guidato dal signore della guerra Netanyahu, ha bombardato le postazioni dell'ONU in Libano, colpendo militari italiani.

Di per sé è ben poca cosa rispetto all'orrore che si è visto finora, ai 42000 e più uccisi a Gaza, agli ormai più di 1000 uccisi in Libano, ai circa 800 e più palestinesi uccisi nel solo ultimo anno in Cisgiordania da soldati e coloni israeliani, ed è ben misera cosa rispetto al massacro che il signore della guerra sta preparando in Iran; al momento non ci sono morti tra i "nostri" militari.

Forse un sussulto di dignità lo si sta avendo anche dal nostro governo e chissà che ai tanti fautori del diritto alla difesa israeliana non venga finalmente il dubbio che stanno esagerando e che tutto ciò non ha nulla a che vedere col diritto alla difesa.

Ma un pensiero mi è venuto in mente: truppe dell'esercito italiano, in missione per conto della più alta espressione della comunità internazionale, vengono attaccate, “deliberatamente” sostiene Crosetto, e secondo me ha perfettamente ragione; dunque l'Italia, Paese NATO è stata aggredita; bè non siamo nel famoso articolo 5? "l'aggressione ad uno degli alleati sarà considerata aggressione a tutti gli altri"; ma allora sto proponendo che la NATO attacchi Israele? no, assolutamente; non pretendo tanto, anche perché non credo in ogni caso alla risposta militare, neanche alle aggressioni; ma che almeno si risponda con qualche sanzione, che si proclami l'embargo di tutte le forniture militari ad Israele, fin quando non decida di rispettare l'ONU e si disponga ad accettare il cessate il fuoco a Gaza ed in Libano come richiesto da delibere del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e, a parole, dalla potenza guida della Nato, questo sì! 

Da un anno Israele sta seminando morte e terrore; questo lo può fare perché di fatto gode della certezza dell’impunità garantitagli dagli Stati Uniti. Israele dipende in tutto e per tutto dagli USA, sia per il sostegno economico, ma soprattutto per quello militare; armamenti, assistenza, protezione vengono forniti dalle forze armate americane; e se qualcuna delle vittime di Israele (per carità, non sempre si tratta di santarellini, in alcuni casi sono signori della guerra come Netanyahu, solo meno potenti), osasse reagire veramente, troverebbe gli americani contro. Se così non fosse, se veramente Biden o chi per esso, facesse anche solo balenare che l’appoggio americano non è incondizionato, difficilmente ci sarebbe qualcuno nel governo israeliano che oserebbe continuare a terrorizzare l’intero Medio Oriente.

Dunque non sarebbero neanche necessarie sanzioni se veramente gli Stati Uniti facessero sul serio.

Se non sono sufficienti le migliaia di morti fatti, l’attacco deliberato alle Nazioni Unite, e a Paesi alleati attraverso queste, non dovrebbe far meditare a tutto l’insieme dell’Occidente che Israele, finché sarà guidato da questo criminale rischia di mettere a repentaglio proprio quella sicurezza che si dice di voler difendere a tutti i costi?

giovedì 8 agosto 2024

6 agosto

 

Il 6 agosto del 1945 è una di quelle date che segnano la storia; l’arma atomica, usata in guerra per la prima volta contro la città di Hiroshima segna una svolta; non è un fatto solo militare, né si tratta di un ordigno particolarmente più potente di quelli usati fino a quel momento: è un’arma di concezione del tutto nuova, che non è progettata per colpire postazioni militari, ma civili, al fine preciso di distruggere un’intera città, e, con lo sviluppo successivo, una intera nazione, una civiltà; una vera arma di distruzione di massa.

Finita la guerra sotto l’ombra minacciosa del fungo atomico di Hiroshima e Nagasaki, con la guerra fredda parte una forsennata corsa allo sviluppo, potenziamento, costruzione delle armi nucleari. È chiaro sin dall’inizio che l’uso massiccio di queste armi in una ipotetica guerra tra le 2 superpotenze avrebbe potuto mettere a rischio l’esistenza stessa dell’umanità; per la prima volta l’uomo aveva la possibilità di distruggere la vita sulla Terra: un Prometeo al contrario.

Tutti gli anni questa data viene ricordata in diverse città del mondo da manifestazioni, veglie, presidi, non solo per una memoria, ma per una riflessione, un’assunzione di responsabilità, un impegno su quello che è il problema principe, e direi esistenziale, nel senso che da esso dipende la futura esistenza della civiltà umana: impedire che qualcosa del genere possa accadere.

I rappresentanti politici delle grandi e piccole potenze non ne sembrano invece coscienti.

A 79 anni da Hiroshima abbiamo circa 12500 bombe nucleari nel mondo, capaci di distruggere più volte l’intero pianeta. Di queste, 3900 sono dispiegate su vettori, ossia pronte all’uso; negli anni ’80 ce ne erano 60000; una situazione molto più pericolosa, a dimostrazione che attivare un processo di disarmo nucleare è possibile, solo che lo si voglia.

Gli Stati possessori della bomba sono 9: Russia, Stati Uniti che da soli ne posseggono 11000, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord (in ordine di quantità). Essi nel 2023 hanno speso, per mantenere i loro arsenali, 91 miliardi di dollari.

C’è stato un periodo in cui ce ne era anche un altro: il Sudafrica, che aveva ottenuto la sua bomba grazie all’aiuto israeliano; poi questo Paese ha smantellato il suo arsenale atomico; è un caso al momento unico di potenza nucleare che rinuncia volontariamente ad essere tale; è oggi un Paese menomato, senza più sovranità? Succube di altre potenze aggressive? Ha dovuto rinunciare alla sua difesa?

No.

E su questo bisognerebbe meditare.

Con 9 potenze nucleari, con una decima che è lì sulla porta, l’Iran, molte di queste coinvolte in conflitti tra loro, il mondo è sempre più in pericolo.

L’arma atomica continua ad essere usata come minaccia, non solo come deterrenza.

La deterrenza è basata sul terrore: io ho armi atomiche con cui posso distruggerti intere città, anche se tu sei più forte militarmente; dunque, non oserai attaccarmi, e viceversa: la mutua distruzione assicurata, che secondo alcuni ha evitato la terza guerra mondiale, secondo altri, tra cui il sottoscritto, ci ha semplicemente avvicinato all’apocalisse, mentre la guerra mondiale si è fatta (e si fa) per interposta persona.

Oggi l’arma atomica viene ripetutamente minacciata come arma tattica da usare in battaglie, nella convinzione, fallace, che questo ne comporti un uso limitato; più volte la Russia ne ha minacciato l’uso nella guerra in Ucraina.

Non esistono armi nucleari tattiche, si tratta di ordigni potenti quanto, se non più, di quelli usati a Hiroshima e Nagasaki; meno potenti di quelli detti strategici, ma lo stesso in grado di distruggere vasti territori, uccidendo centinaia di migliaia di persone, rendendo vaste aree inabitabili per tempi lunghi, rilasciando scorie radioattive che si possono spargere e fare vittime a migliaia di chilometri di distanza (e questa forse è la vera ragione per cui, nonostante le minacce, non sono state usate finora).

Le Nazioni Unite, spesso accusate di inerzia, in realtà si sono mosse, ed hanno prodotto un trattato, approvato da 122 Stati (su 195), ratificato da 70, entrato in vigore nel gennaio 2021, che mette al bando le armi nucleari. Oggi chi possiede le armi atomiche è fuorilegge, viola il diritto internazionale.

Il paradosso è che le potenze nucleari sono i veri stati-canaglia, e i loro alleati che ospitano le loro armi, tra questi l’Italia, i loro complici; ma questi bloccano qualsiasi decisione delle Nazioni Unite che possa avere efficacia.

C’è la legge, ma non possiamo applicarla, perché i delinquenti hanno il potere. Questa è la situazione istituzionale internazionale. Questa è la grave violazione della “politica internazionale basata su regole”.

Il coordinamento piemontese contro le armi atomiche, tutte le guerre e i terrorismi (A.G.iTe.) nacque nel 2017 a Torino proprio per sostenere questo trattato, chiederne al nostro governo la firma e la ratifica, seguendo quello che, secondo diversi sondaggi, è il volere della maggioranza degli italiani, con conseguente smantellamento delle 2 attuali basi atomiche presenti sul nostro territorio e divieto a portaerei e sommergibili nucleari di entrare nei nostri porti e navigare nelle nostre acque. Un vasto territorio al centro del Mediterraneo libero da armi di distruzione di massa, questo sì, sarebbe un bel segnale di pace.

Al nostro appello aderirono associazioni, organismi religiosi, istituzioni, enti locali di vario colore e di diversi orientamenti culturali, talvolta opposti, che ritennero, e ritengono tuttora, l’eliminazione delle armi atomiche una priorità su tutto il resto, tale da far mettere in secondo piano tutte le divergenze.

Il coordinamento ha poi esteso la sua missione contro tutte le guerre e i terrorismi, perché è lì che si annida l’origine di quel processo che poi arriva a giustificare e realizzare il possesso e l’eventuale utilizzo dell’arma atomica.

Sorge spontanea una domanda: è possibile immaginare l’eliminazione delle armi atomiche senza arrivare all’esclusione della guerra in sé come forma di relazione tra gli Stati? È possibile oggi, 2024, parlare di guerra per rispondere alle aggressioni, prepararsi alla guerra rinnovando e arricchendo i nostri arsenali, vedendo in ogni competitor un potenziale nemico da ridurre alla ragione “manu militari” se necessario, senza che questo porti logicamente al possesso e all’uso delle armi più potenti, quelle nucleari? Non dovremmo eliminare la guerra dalla storia come in molti sperarono dopo la fine della guerra fredda negli anni ’90? E questo dovrebbe avere come conseguenza la ripresa di quel progressivo processo di disarmo, mutuo e bilanciato sì, ma reso più efficace e spronato da qualche Paese che attui anche forme di disarmo unilaterale. Del resto, furono alcuni passi di disarmo unilaterale che scatenarono la corsa al disarmo e ai trattati che tra l’87 e il 92 portarono gli arsenali atomici a ridursi a ¼ e il mondo a godere di un cospicuo dividendo di pace.

Mi chiedo se invece che sostenere progetti di riarmo, aumento delle spese militari, sostegni armati a paesi in guerra, chiusura di frontiere e interruzioni di relazioni culturali e sportive, non sarebbe più coerente puntare sulla trattativa, l’amicizia tra i popoli, vero spauracchio dei dittatori; se non sarebbe più efficace diffondere una cultura della nonviolenza, studiare, ricercare, addestrarsi, attuare forme di resistenza civile non armata e nonviolenta.

Giovanni XXIII più di 60 anni fa, poco dopo che il mondo si trovò ad un passo dall’apocalisse, scrisse con lungimiranza che la guerra nel XX secolo, e a maggior ragione nel XXI secolo, è “follia”, “fuori dalla ragione”.

Ogni guerra, ogni conflitto armato, se portato avanti fino alle estreme conseguenze può diventare un conflitto nucleare, a maggior ragione laddove sono coinvolte potenze atomiche. Questa è la situazione in Ucraina, in Medio Oriente, tra India e Pakistan.

Il messaggio che io voglio lanciare è: siamo tutti indistintamente d’accordo, tutti ci impegniamo per l’eliminazione delle armi nucleari indipendentemente dalle altre nostre convinzioni, ma ricordiamoci che occorre essere altrettanto contrari a tutte quelle azioni che portano alla guerra, occorre sostenere azioni ed iniziative che vadano verso la diminuzione della tensione, verso la cessazione del fuoco; poi si cercherà l’attuazione di maggiore giustizia; non possiamo aspettare un mondo giusto per dire adesso non facciamo più guerre, perché prima di arrivare ad un mondo giusto le guerre distruggeranno noi.

Dobbiamo arrivare ad una comune accettazione a livello planetario che la guerra va bandita dalle possibilità; la legittima difesa non può, non deve contemplare la guerra.

È impossibile?

No, è possibile, è una libera scelta di tutti noi e delle autorità politiche.

L’alternativa è la fine dell’umanità.

giovedì 25 luglio 2024

Perché vincono le destre

Le recenti elezioni europee hanno mostrato uno spostamento verso destra dell’opinione pubblica
europea.
Non c’è stata l’onda nera temuta, e non è stata una valanga, e forse questo ha indotto alcuni, anche tra i movimenti, a cantar vittoria o quanto meno a tirare un sospiro di sollievo. E’ vero che poteva andar peggio, ma c’è poco da stare allegri; anche perché siamo in un trend che dura da almeno un decennio di progressivo esautoramento delle sinistre, sotto vario segno denominate, e di allargamento del consenso ad una destra, che, nelle sue differenze, potremmo definire un fascismo adattato al XXI secolo: autoritario, conservatore, tradizionalista, nazionalista; abbandonato il manganello, usa altri mezzi, non è liberticida come lo era quello del secolo scorso, ma è infastidito dal dissenso; soprattutto si è ben adattato alla forma esteriore tollerante, avendo compreso che per reprimere il dissenso, più che altro per impedire che possa diventare alternativa reale, non è necessario spaccare le teste, è molto più efficace “spegnergli il microfono”.
Riprendendo la metafora della valanga di destra, potremmo dire che non c’è stata, come non ci fu nel 2019, ma ci sono stati vari smottamenti del terreno, che pezzo dopo pezzo, modificano il quadro politico-sociale generale.
In questo contesto ci sono comunque segnali in controtendenza, al momento non in grado di ribaltare il significato del risultato generale; potrebbero essere anche indicazioni che una resistenza è possibile e che i germogli di un’inversione ci sono; come tutti i germogli, vanno curati e coltivati.
Fatta questa premessa, ho provato a dare alcune ragioni del perché oggi le destre, in Europa, come in Occidente (ma non solo) vincono e individuerei alcune ragioni immediate di questo consenso, ed altre strutturali; alle prime si potrebbe anche ovviare, rimodulando le politiche delle orze di sinistra, alle seconde no, occorre prenderne atto e lavorare per un più profondo cambiamento della società.
Vediamo le motivazioni più dirette
1) In un contesto che cambia in continuazione non ci sono più certezze. Il lavoro, l’economia, il welfare cambiano; il risultato è che si perdono molte delle condizioni e dei diritti che sembravano acquisiti. Molti cercano di opporsi; la domanda è: perché si affidano alle destre e non alle sinistre? Le destre, quelle definite sovraniste, sono finora state all’opposizione, fuori dalle stanze decisionali, anche se spesso solo apparentemente (basti pensare al caso nostrano della Meloni), mentre la sinistra, quella tradizionale, moderata, facente capo ai socialisti europei, per intenderci, è nella gestione del potere, soprattutto a livello europeo da ormai decenni; poco determinante nelle decisioni prese, ma sempre figurante tra il “potere mainstream”. Essa ha perso spinta riformatrice, rinunciato ad una sua visione, concentrata nella gestione amministrativa giorno per giorno, inseguendo spesso la destra nel suo terreno.
2) C’è un’insofferenza diffusa verso una vita regolamentata dall’esterno secondo regole a volte sensate e giustificate, ma più spesso assurde ed incomprese, e comunque viste sempre come un’imposizione esterna, un tentativo di intromettersi nella vita privata; e la commissione europea è bravissima a sfornare norme, codici di comportamento, protocolli su tutto, anche la misura delle zucchine; questo vale per il lavoro, l’economia domestica, la prevenzione sanitaria (le regole covid), le cosiddette norme “green”. Ovviamente questa insofferenza, non guidata da un pensiero razionale e consapevole, colpisce a casaccio, e fa di tutta un’erba un fascio, criticando norme giuste e necessarie ed altre del tutto ingiuste ed inutili, e spesso dannose.
3) La globalizzazione ha generato paura, sconvolto le vite quotidiane di tante persone; la risposta è un cercare rifugio nella propria identità, vera o presunta, di qui una mentalità conservatrice. 

4) Rifiuto dei migranti, visti come importuni e additati come responsabili dei propri guai.
5) Rifiuto del “politically correct”, visto come forma invasiva che pretende di stravolgere stili di vita e cultura. Viceversa, una sinistra che ha perso i propri valori storici, si è buttata su questi facendone una bandiera.
6) Antipolitica imperante: solo per rimanere in Italia sono ormai decenni, almeno dagli anni ’90,
che giornali, intellettuali, imprenditori, gente dello spettacolo battono sul tasto dei politici
tutti corrotti, sporchi; e non c’è assolutamente bisogno di aspettare i 5stelle; Pannella fu il
precursore, Berlusconi sull’imprenditore di successo contro il “teatrino della politica” ha
costruito il suo successo. C’è da meravigliarsi se dopo questa intensa campagna quasi senza
contradditorio la gente si sia allontanata dalla politica ?
Ci sono poi motivazioni più profonde, strutturali, che hanno portato a creare un humus su cui
ideologie e proposte di destra crescono meglio di altre.
1 L’attuale democrazia rappresentativa e lo stato di diritto sono la risultante, sempre in
movimento e mai scontata una volta per tutte, della dialettica borghesia proletariato, che ha
dominato la vita politico-culturale dell’occidente, soprattutto europeo, degli ultimi 150/200
anni; insomma della lotta di classe, che però sembra essere stata vinta dagli altri. Il
proletariato da noi non esiste più, la classe operaia ha caratteristiche che secondo la
sociologia di un tempo si potrebbe definire piccolo-borghese; essa è diminuita
numericamente, ma soprattutto di importanza, i suoi partiti l’hanno abbandonata, ed essa si è
sentita abbandonata, ha perso coscienza di classe.
2) Il lavoro oggi è parcellizzato; la pandemia ha velocizzato un fenomeno già in atto; tendono a scomparire i grandi luoghi di lavoro, fabbriche, uffici di servizi, dove si incontravano centinaia e migliaia di lavoratori, dove ci si organizzava in sindacato, si discuteva di politica; mancano luoghi di aggregazione di massa, dai partiti ai sindacati agli oratori; oggi ci si incontra sui social, ognuno solo con sé stesso, illuso di parlare a tutto il mondo, in realtà in contatto solo con chi la pensa come lui.
3) Crollano le ideologie, con ciò di negativo ma anche di positivo che avevano; la cifra di oggi è l’individualismo; ogni istanza cooperativa fa fatica a marciare. Le ideologie, la politica, qualsiasi progetto collettivo, presuppongono il sentirsi popolo. Manca anche il senso religioso che spinge all’assunzione di responsabilità.
4) Un Occidente egemone, che aveva decretato la fine della storia, è incapace di mantenere il suo potere; si trova di fronte competitori, che, pur non essendo delle alternative sociali, ambiscono a condividerne il potere; pretendono, non senza ragione, di sedersi al banchetto del capitalismo e non da comprimari. Da qui nascono le guerre, per ora a pezzi, ma tendenti a unificarsi in una guerra mondiale di occidente contro resto del mondo. Essi, salvo eccezioni, non condividono la parte migliore dell’Occidente, lo stato di diritto, la liberaldemocrazia (men che meno la socialdemocrazia). Autoritarismo + capitalismo + sovranismo (a casa mia faccio quel che voglio): un modello per la destra moderna. E la Russia putiniana, conservatrice, dirigista, con la benedizione dell’ultra-costantiniana chiesa di Mosca, ne è una degna rappresentante: e questo ne fa un oggettivo polo d’attrazione per la destra. È questa cultura che sta attaccando la democrazia in occidente, non i carri armati russi. I rischi vengono dall’interno non dall’esterno.
Soluzioni ad oggi mancano, ma vanno cercate nell’ideale socialista visto come progetto per un
mondo solidale e cooperativo, nell’azione nonviolenta, nel pensiero di Gandhi.
Se il trinomio della destra è Autoritarismo, capitalismo, sovranismo, l’alternativa deve basarsi su partecipazione, economia solidale, mutualità, e, alla base di tutto bandire la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Ma questa parte è tutta da sviluppare.

giovedì 20 giugno 2024

Prima che sia troppo tardi

Ci è stata data una data: il 2029. 

Entro quell’anno dobbiamo essere pronti per la grande guerra contro la Russia (e magari, perché no, anche contro la Cina). Qualcuno ha anche anticipato i tempi: 2 o 3 anni. 

Forse è il caso che cominciamo a prendere un po’ più sul serio queste dichiarazioni: non si tratta più di minacce, sbruffonate, giochi di propaganda, ma di vera e propria programmazione. Troppe convergenze, e troppe scelte e decisioni politiche che vanno in quella direzione. 

Provo a fare uno scenario, con il forte desiderio di poter essere smentito al più presto.
Oggi entrambi i contendenti, Russia e Ucraina sono stanchi. Una generazione di giovani ucraini e russi sta scomparendo; a noi non è dato sapere i numeri delle vittime; siamo la parte di mondo della democrazia e della trasparenza, ma le cose importanti ci vengono tenute nascoste, ed anche questo è un segnale preoccupante; secondo il NewYorkTimes a settembre scorso si parlava (fonti intelligence USA) di circa mezzo milione di morti tra militari e civili, russi e ucraini; oggi sono certamente di più: c’è stanchezza da entrambe le parti, ma particolarmente da parte ucraina, la popolazione ucraina è molto inferiore, inoltre la Russia ha riconvertito al militare la sua struttura industriale; è dunque probabile che continuando a questi ritmi la guerra, l’Ucraina si logori prima; i russi stanno avanzando, seppur lentamente; e poiché Putin è prepotente e vendicativo, se vede la possibilità di vincere non si fermerà di certo; a quel punto, se i russi dovessero sfondare ed arrivare nei pressi di Kiev, questo non sarà consentito dalla Nato e ci sarà l’intervento diretto; non ci sono molti dubbi sul fatto che le armi, la tecnologia, la macchina militare occidentale sia superiore a quella russa; come reagiranno i russi quando saranno respinti verso i loro confini? E’ probabile che, messi con le spalle al muro, ricorreranno all’arma atomica, magari tattica, dimostrativa, ma tant’è, sufficiente a scatenare la reazione NATO con successivo apocalisse.

Questa macchina infernale va fermata subito; prima che sia troppo tardi, e più si va avanti più sarà difficile fermarla. Non sembra che in questo momento ci siano intenzioni di farlo; si continua con le minacce, sempre meno credibili, e credute, per cui dall’una e dall’altra parte si comincia a pensare di metterle in atto.

Occorrerebbe un rifiuto generalizzato della guerra, che vada oltre la risposta ai sondaggi, diventi mobilitazione di massa.

I popoli europei hanno avuto l’occasione per manifestare la loro volontà di pace pochi giorni fa, con le elezioni; l’hanno buttata via, o standosene a casa, o addirittura affidandosi all’estrema destra, portatrice della stessa ideologia che tiene Putin al potere: dovevamo armare gli ucraini che combattessero per noi per respingere Putin fuori dall’Europa: ora abbiamo la guerra, e il “putinismo” vincente nei Paesi europei.

Quelli come noi, che invece non perdono occasione per manifestare il loro no alla guerra, continueranno a dare la loro testimonianza, ma dobbiamo andare oltre: essere capaci di suscitare un movimento di massa per la pace, in grado di essere più incisivo, che dia coraggio ai pacifisti di tutto il mondo, anche di Russia ed Ucraina.

Nonviolenti, pacifisti, volontari per la pace e la solidarietà, uniamoci, elaboriamo una strategia che ci porti ad unirci a tutte le forze sane di questa nostra Europa decadente che corre rassegnata verso la guerra, per fermare ed invertire la corsa: la pace, una nuova coesistenza pacifica, prima di tutto, il resto passa in second’ordine, senza chiedere perfezione né pedigree ideologici.

Agiamo ora, domani potrebbe essere troppo tardi.


venerdì 7 giugno 2024

Guerra Europa Elezioni

 

Il 5 giugno scorso il ministro della difesa tedesco Pistorius (socialdemocratico) ha dichiarato che la Germania deve essere pronta a combattere una guerra entro il 2029: "Dobbiamo fare deterrenza per evitare che si arrivi al peggio". I tre pilastri della difesa sono: "personale, materiale e finanze. Perciò ritengo necessarie nuove forme di servizio militare e presenterò presto delle proposte" anche per quanto riguarda le forme di obbligatorietà, ha aggiunto.

Tali dichiarazioni sono state fatte al Bundestag, il Parlamento tedesco; dunque, non si tratta di chiacchiere in una intervista o ad un talk-show, ma di dichiarazioni ufficiali, a cui seguono provvedimenti concreti.

Non è un fatto isolato; esse seguono una serie di interventi, dichiarazioni, appelli, Macron, Stoltenberg, altri, che cercano di creare un clima, preparano l’opinione pubblica ad affrontare nel breve una guerra, non più per interposta persona, come finora fatto con gli ucraini, ma direttamente; e si cominciano a preparare gli apparati.

Il pericolo è sempre Putin, che vuole arrivare a conquistare tutta l’Europa e che arriverà a Lisbona, anche se per il momento è fermo a Mariupol.

D’altra parte lo stesso Putin torna a ventilare il rischio di un’escalation e sempre il 5 giugno, di fronte alla stampa estera, ha dichiarato che «Fornire armi in una zona di conflitto è sempre male, un passo pericoloso e grave”; lui ritiene preferibile usarle direttamente queste armi!

Nella stessa occasione ha ribadito che Mosca è pronta a sedersi al tavolo dei negoziati, sostenendo che il miglior modo per arrivare presto allo stop del conflitto è che «l’occidente smetta di fornire armi all’Ucraina». Chissà se gli è mai venuto in mente che un modo anche migliore per sedersi ad un tavolo sarebbe che i russi sospendessero di bombardare l’Ucraina!

Per il momento, visto che lo fanno gli occidentali, anche la Russia avrebbe «il diritto di fornire armi dello stesso tipo alle regioni del mondo che potrebbero essere interessate a colpire gli interessi occidentali».

A queste dichiarazioni che vanno di escalation in escalation, di minaccia in minaccia, con la guerra che si incrudelisce sempre più, si aggiunga anche la preparazione, diciamo così, culturale. Janan Ganesh, editore associato del Financial Times, una Bibbia per il mainstream radical-chic dei nostri tempi, ha pubblicato un articolo dal titolo "Il prezzo della pace è la stagnazione", in cui, dopo aver mostrato che le arti, la scienza e l’economia si rinnovano e progrediscono grazie alla guerra, trae le conclusioni dicendo che: primo, il trauma porta l’immaginazione verso nuovi spazi, secondo, le idee risultanti si vendono meglio grazie allo sconquasso generato, infine che “la violenza stessa porta spesso all’innovazione tecnica”. Insomma, della serie: “la guerra sola igiene dell’umanità.

L’aspetto più drammatico di tutte queste notizie sta proprio nel fatto che ormai la classe dominante europea dà per scontato che si va verso una guerra, perché è fallita l’ipotesi (ingenua) che bastava fare il muso duro ed il regime di Putin sarebbe crollato. Non solo si è rafforzato, a spese dei pochi ma tenaci obbiettori ed oppositori russi, perseguitati in patria e malvoluti fuori, ma risulta chiaro che non si riuscirà a batterlo sul terreno militare, né lui sarà disposto a cedere.

Stabilito che l’Europa, l’Occidente non può cedere, né abbassarsi a cercare la trattativa, non rimane che prepararsi all’inevitabile guerra. Nascondendo, anzi rimuovendo il fatto che essa diventerà nucleare, e la distruzione si abbatterà sull’Europa.

Domani e dopodomani andremo a votare; potrebbe essere una delle ultime occasioni che abbiamo per opporci, per manifestare con voce chiara che i popoli d’Europa, quelli responsabili, la guerra NON LA VOGLIONO!!!

Al termine di una campagna elettorale in cui si sono tentate tante “distrazioni di massa”, in cui si vuol far credere che l’alternativa sia tra europeisti (scordandosi che molti di questi sedicenti europeisti sono stati tenaci demolitori dell’idea di un’Europa unita solidale vicina ai propri popoli) e sovranisti, il tema della pace, almeno in Italia, sembra riguadagnare voce.

La vera posta in gioco oggi è la questione pace e guerra; se riteniamo che l’Occidente, perciò l’Europa, debba affrontare i cambiamenti epocali cercando nuovi equilibri e la coesistenza con altri popoli e culture, oppure riteniamo che la presunta supremazia occidentale possa essere difesa solo con la guerra.

Gravissimo sarebbe pensare che i giochi sono già fatti, che in fondo tutti i partiti sono uguali, che le elezioni non servono; mai come oggi servono a lanciare un messaggio chiaro: sulla pace e sulla guerra si possono perdere o guadagnare consensi.

Una forte affermazione delle liste e dei candidati che all’interno si battono per la pace potrebbe iniziare un’inversione di tendenza; è difficile, lo so, ma …. potremmo non avere tante altre occasioni.

Il coordinamento AGiTe tramite la campagna #tivotosolose, ha raccolto l’impegno di 52 candidati (vedi) alle elezioni regionali (Piemonte) ed europee (NordOvest) su 2 punti specifici ma significativi: 1 adesione al Trattato ONU che mette al bando le armi nucleari, 2 riduzione, non aumento, delle spese militari.

In altri tempi avrei detto stiamo attenti a impegni “chiacchiere e distintivo”, ma oggi si tratta di candidati coraggiosi, perché nel clima in cui siamo, ci vuole coraggio e determinazione a dichiararsi pacifisti, in quanto si viene additati come disfattisti, irresponsabili.

Votiamo per loro, per le loro liste, diamo loro la preferenza.

martedì 21 maggio 2024

Arena di pace: Verona 18 maggio 2024. Una salutare ricarica di speranza

 

Arena 24: riprende la serie degli incontri arena di pace che hanno caratterizzato lo sviluppo di un bello e forte movimento della pace a partire dagli anni’80; la prima venne convocata nel 1986.

Questa volta aveva una particolarità: ospitava Papa Francesco, l’unica autorità mondiale che in questi tempi bui parla di pace, si ostina a dire che la guerra è il male, sempre, distrugge senza costruire, uccide senza risolvere nessun conflitto. L’ha ripetuto sabato scorso, alla presenza di circa 12000 persone, che l’hanno accolto con entusiasmo.

L’incontro non è stato un evento isolato, riuscito mediaticamente, ma esaurentesi nella mattinata del 18 maggio. Tutt’altro.

Esso è stato il risultato di un processo che ha visto coinvolti diversi movimenti ed associazioni della società civile. Da diversi mesi si sono susseguiti molti incontri, suddivisi in 5 tavoli: Pace e disarmo, democrazia e diritti, economia e lavoro, ecologia, migrazioni.

Siamo persone, associazioni, movimenti, reti attive nella costruzione della pace in tutte le sue forme attraverso la nonviolenza”. Così inizia il documento sintesi (vedi link) del lavoro di più di 500 persone.

Dopo una disamina molto cruda della realtà che ci circonda, a livello planetario e a livello nazionale, dove i cambiamenti climatici, il prevalere delle situazioni di guerra, l’arretramento di democrazia e diritti rischiano di portarci alla catastrofe, si passa a proporre gli impegni sulle cose da fare. Impegni ribaditi in Arena, con l’aiuto di testimoni importanti.

Disarmo, delle menti e dei territori, come sottolineato da uno striscione che lo stesso papa Francesco ha evidenziato, transizione ecologica, difesa della democrazia, partecipazione, beni comuni, accoglienza ed inclusione sono le parole che ritornano più volte nel documento e che meglio rappresentano anche l’intenso dibattito che ha animato i più di 500 delegati nella giornata di venerdì.

L’incontro col papa è stato emozionante, non solo per chi come me, che sono cristiano cattolico, per lungo tempo in posizione “di minoranza” nella chiesa, aspettava un momento come questo da anni, ma anche per tutti i convenuti, di differenti fedi religiose, uniti dall’impegno per la pace, per una pace giusta: “giustizia e pace si baceranno” diceva lo slogan dell’Arena.

Vedere Zanotelli e il Papa che reggono insieme la bandiera della pace è un’immagine forte che rimarrà a lungo impressa nella mia mente; nell’86, alla prima Arena, inimmaginabile.

Al papa sono state proposte alcune delle riflessioni presenti negli elaborati dei 5 tavoli, e lui ha risposto a tutte; difficile fare un sunto; a parte la ribadita e forte condanna dell’industria militare, sottolineata da quell’indicazione “smilitarizziamo le menti e i territori”, la contrapposizione tra individualismo, cifra della situazione attuale, e comunità: nessuno si salva da solo, e soli sono anche i capi delle nazioni, e, soli, si sentono le persone, impotenti, e questo genera disperazione, e di qui si passa all’indifferenza; l’antidoto è il senso di comunità, la cooperazione contro la competizione. 

Altro concetto importante è la rivalutazione del conflitto; una società senza conflitti è una società morta, essi stimolano la creatività, permettono di migliorarsi; ad una condizione: di gestirli insieme, col dialogo, coi mezzi della nonviolenza, che costruisce senza distruggere, per uscirne uniti: armonia, che è l'insieme di note e strumenti diversi non uniformità, che è appiattimento sulla vittoria del più forte.

Particolare emozione hanno suscitato le parole di 2 ragazzi, 2 imprenditori: Maoz Inon, israeliano, che ha perso i genitori nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, Aziz Sarah, palestinese, che ha perso il fratello ucciso dai soldato israeliani; avremmo dovuto essere nemici e odiarci, hanno detto, invece vogliamo superare insieme il nostro dolore comune. Si sono abbracciati e su questo abbraccio il Papa ha chiesto di fare un momento di silenzio. Momento toccante, l’alternativa ai tanti discorsi di odio che continuiamo a sentire.

L’intero colloquio tra i delegati dei vari tavoli e Francesco è stato trascritto a cura della redazione vaticana e lo si può trovare a questo link.

L'arena di pace non finisce qui: ora verranno raccolti gli spunti e i suggerimenti di questi 2 giorni: ci sono degli impegni che ci siamo assunti e che andranno declinati, per cui i tavoli si ritroveranno. 

L'importanza di eventi come questo non stanno tanto nei documenti che si scrivono, come ha detto qualcuno son 40 anni che diciamo le stesse cose, quanto nel clima che si crea, nel contesto che dà la spinta a proseguire su quella strada che ora è in salita ma che continueremo a percorrere con una faorza ed una convinzione rafforzata da eventi come questo.

In un contesto in cui la pace è stata cancellata dal vocabolario, come rilevato da Andrea Riccardi, in quella mattina si è parlato solo di pace. 

Il papa ci ha lasciato un appello che val la pena di riprendere: “La pace non sarà mai frutto della diffidenza, frutto dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. San Paolo dice: «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6,7). Fratelli e sorelle, le nostre civiltà in questo momento stanno seminando distruzione, paura. Seminiamo, fratelli e sorelle, speranza! Siamo seminatori di speranza! Ognuno cerchi il modo di farlo, ma seminatori di speranza, sempre”.

Raccogliamo questo invito e proseguiamo nella nostra opera e nel nostro lavoro per seminare speranza, soprattutto dare speranza ai più giovani, la miglior medicina contro l’indifferenza.