domenica 11 dicembre 2022

Dalla teologia della guerra giusta alla teologia della nonviolenza: un percorso da continuare

 Lo scorso 3 dicembre si mè svolto un convegno per ricondare i 70 anni di fondazione della sezione italiana del MIR - Movimento Internazionale della Roconciliazione.

Io ho svolto una relazione sul cammino ecumenico verso la nonviolenza e sulle prospettive future di questo percorso che riporto qui di seguito

Premessa:

Il Mir sorge e si sviluppo nell’ambito ecumenico. In un’epoca in cui l’ecumenismo non aveva quella generale accettazione da parte delle chiese di cui gode tutt’ora.

Era aspirazione di piccolo minoranze in ambito cattolico, assente nel mondo ortodosso, un po’ più diffuso in ambito protestante anche se ancora guardato con sospetto.

C’erano però iniziative diffuse sul problema pace e guerra, un internazionalismo pacifista Cristiano, soprattutto ad opera delle varie Peace Society era attivo dalla fine del secolo XIX. Ci si chiedeva come era possibile che cristiani potessero scendere in guerra contro altri cristiani, proclamando l’amore universale di Cristo. Il socialismo aveva inventato l’internazionalismo proletario, il comune interesse di lavoratori e sfruttati travalicava gli angusti confine nazionali utili a mantenere lo sfruttamento.

Così anche i cristiani, che la fratellanza universale aldilà delle nazioni l’hanno nel DNA, dovevano arrivare al ripudio della guerra.

In questo humus, crebbe e si sviluppò il MIR internazionale ossia l’Ifor.

Oggi l’ecumenismo è celebrato da tutti come il percorso che interroga tutte le Chiese, ed in quest’ambito un discorso particolare riguarda l’atteggiamento nei confronti della guerra.

 

Dalla guerra giusta alla teologia della nonviolenza

Praticamente tutte le chiese nel ‘900 accettano la teoria della guerra giusta, formalizzata da S. Tommaso d’Aquino nel ‘200, ma già elaborata da sant’Agostino in seguito al sacco di Roma (410).

Ma dopo le 2 guerre mondiali, e soprattutto con lo sviluppo delle armi atomiche ci si pone la domanda se possa ancora esistere una guerra giusta, visto che ognuna di esse può evolvere in guerra atomica.

Il ‘900 oltre ad essere il secolo delle due guerre mondiali, dell’olocausto (ce n’è stato più d’uno in realtà) è anche il secolo di Gandhi, della pratica e della teorizzazione della nonviolenza, non solo come filosofia, come concezione del mondo, ma come metodo per ottenere giustizia senza ammazzare: e le chiese cristiane non potevano restare insensibili.

Il MIR internazionale ebbe la sua parte in questo cammino dalla “guerra giusta” alla “teologia della nonviolenza”. Sin dagli anni ’50 Jean e Hidegard Goss iniziarono la loro opera “di convinzione”, e trovarono alcune porte aperte. Poi col Concilio organizzarono insieme ad altri, Lanza del Vasto, Dorothy Day, Thomas Merton, una azione che oggi definiremmo di “lobbying” per ottenere un riconoscimento dell’obiezione di coscienza, l’immoralità e dunque  la condanna delle armi di distruzione di massa (ABC), il riconoscimento della via nonviolenta come via evangelica.

Se guardiamo la situazione ad oggi tutti e 3 gli obbiettivi possono dirsi sostanzialmente raggiunti; il cammino però è stato lungo e si è svolto prevalentemente dopo il Concilio. Un capitolo della Gaudium et Spes riguarda la questione pace e guerra e lì c’è una apertura all’obiezone di coscienza come testimonianza (tenere conto che solo 10 anni prima, nel dibattito che si era sviluppato in Italia al seguito del processo a Pietro Pinna era stata bollata come scelta coraggiosa ma da non seguire), la condanna dell’uso, ma non della deterrenza, delle armi ABC.

Nel ’63 era però uscita la Pacem in Terris, pietra miliare di questo cammino, dove la guerra viene definita folle (alienum est a ratione), concetto che andrebbe ribadito oggi a tutti coloro che pensano che la guerra sia l’unico strumento per ripristinare giustizia).

Il movimento ecumenico, che dal 1948 ha uno strumento il consiglio ecumenico delle chiese, che riunisce la maggior parte delle chiese protestanti ed ortodosse e la chiesa cattolica, che non è membro effettivo, ma collabora ai lavori, ha anch’esso fatto passi Avanti, ed ha contribuito a questo cammino della Chiesa cattolica.

Altra pietra miliare nel cammino ecumenico verso la pace è stato l’incontro di Basilea, prima assemblea ecumenica europea tenutasi nel Maggio 89 (toh pochi mesi prima della caduta del muro) a cui parteciparono cattolici, protestanti, ortodossi sui temi di pace, giustizia salvaguardia del creato (il programma del mir), a cui seguirono quella di Graz, Sibiu, mentre nel 2013 a Busan, in Corea del Sud l’assemblea del WEC definisce in un documento la via per una pace giusta, ribaltando la teologia della guerra giusta in quella della pace giusta.

Tutto questo cammino abbiamo cercato di descrivere io e Ilaria Ciriaci nel libro “guerra pace e nonviolenza” uscito nel 2015 per le edizioni paoline.

Oggi abbiamo le numerose prese di posizione di papa Francesco, che ha continuato quel cammino fino ad arrivare a prefigurare una teologia della nonviolenza. Il Vaticano è stato uno dei primi stati ad aver ratificato il Trattato ONU che mette al bando le armi nucleari, ha dedicato la giornata della pace del 2017 alla nonviolenza, e si spende per la pace in ogni dove con grande passione ed intelligenza.  L’insegnamento di papa Francesco va proprio in direzione della ricerca di un nuovo modo di concepire le relazioni internazionali, favorendo tutte quelle azioni che cercano di ristabilire giustizia, perché sappiamo tutti che non ci può essere pace senza giustizia, con i metodi della nonviolenza, lottare senza uccidere, ribellarsi senza distruggere, giacché sappiamo altresì che senza pace non c’è giustizia

 

 

Le sfide dell’ecumenismo oggi.

Oggi si parla ormai di inter-religiosità, non solo più di ecumenismo. Lo stesso IFOR si definisce movimento inter-religioso, travalicando l’ambito Cristiano. E’ ovvio che questa attività interreligiosa non può toccare il contenuto diciamo dogmatico della fede che rimane distinto e come tale va rispettato, ma l’attività. Qualunque sia il nome con cui preghiamo Dio, o semplicemente la nostre risposte che diamo alle domande “ultime”, tutti però dobbiamo riconoscerci come fratelli e sorelle, rispettare il diritto sacro alla vita di ciascuno di noi, e cercare le vie per gestire questa difficile convivenza tra ormai 8 miliardi di persone senza uso di violenza, di morte data, e dobbiamo iniziare col bandire la guerra dalla storia, a cominciare da quele micidiali armi in grado di distruggere la Terra, annullando la Creazione di Dio.

Documenti ce ne sono stati tanti, ma i problemi iniziano quando si scende alle scelte concrete nel loro contest specifico.

Ecco che oggi assistiamo all’assurdo che una guerra tra Stati provoca una guerra tra chiese. Abbiamo ascoltato le parole del patriarca di Mosca Kirill a sostegno della guerra; neanche un accenno, un invito almeno ad evitare i fatti più cruenti, molti di noi sono rimasti inorriditi; e gli attacchi al papa, anche da parte di alti prelati della chiesa Greco-cattolica (Uniate) di Ucraina per i suoi gesti di riconciliazione come quando alla via Crucis ha chiesto ad una famiglia ucraina ed una russa di portare la croce.

Sembrano passati secoli dall’incontro di Basilea.

Eppure occorre rivitalizzare quel cammino ecumenico, proprio perché attraverso quello possiamo far breccia nei sentimenti eccessivamente nazionalisti di alcune chiese; soprattutto facendo attenzione a rispettare le convinzioni reciproche, ma tra cristiani non bisognerebbe mai ricorrere alla guerra.

Nell’attività del movimento pacifista forse occorrerebbe fare uno spazio per cercare contatti parlare incontrarsi con le comunità ortodosse senza cadere nell’errore che spesso fanno gli occidentali (noi siamo occidentali) di voler insegnare agli altri come comportarsi.

Associazioni come la comunità di Sant’Egidio svolgono un compito preziosissimo nel curare i rapporti con le alter chiese.

La ripresa del cammino ecumenico per la pace sarà determinante per la ricostruzione di un mondo distrutto dalla guerra attuale che non riguarda solo l’Ucraina.

Questo nella consapevolezza che oggi le religioni non hanno più quella influenza sulle coscienza dei popoli, ma costituiscono un punto di riferimento importante

domenica 13 novembre 2022

in piedi popolo della pace


Di ritorno dalla bella manifestazione per la pace svolta a Roma il 5 novembre scorso 2 sono le domande- riflessioni che mi sto ponendo.

Una viene costantemente ripetuta da coloro che questa manifestazione hanno contrastato, boicottato, inventandosi una contromanifestazione a Milano: si dice che non può esistere pace senza giustizia e dunque chiedere pace senza preoccuparsi di ripristinare una giustizia, vera o presunta, violata è ipocrisia, quando non connivenza col “nemico”; infatti noi pacifisti veniamo definiti ipocriti e “putiniani”. Rispondere a questi che ci pongono questa domanda non serve a niente, perché la loro è una provocazione, ma il problema c’è, eccome! 

Tante volte ci siamo detti che la vera pace non si può costruire accettando il sopruso, lo sfruttamento, le diseguaglianze, e che precondizione per la vera pace è quantomeno la ricerca di condizioni che eliminino questi fenomeni. Dunque non ci può essere pace dove non c’è giustizia, ma a questo punto sorge un’altra domanda: ci può essere giustizia dove non c’è pace? Non è la guerra la negazione stessa di ogni giustizia, un evento che tutto piega alle sue esigenze, dove la vita umana non ha più alcun valore? Non è la pace la precondizione su cui si possa iniziare e condurre un cammino, pieno di conflitti, ma non guerre, verso una sempre maggior giustizia?

Per questo nella convocazione della manifestazione del 5 novembre si mette al primo punto “cessate il fuoco”, attenzione! Non la pace, che è obbiettivo da raggiungere, non alla portata oggi; ma che si fermino le armi, si cessi di uccidere. Solo una volta tacitate le armi sarà possibile innanzitutto avviare una trattativa vera, che coinvolga tutti gli attori, non solo i 2 che si stanno combattendo sul campo, che cerchi di venire incontro alle esigenze di tutti questi attori, nel rispetto della libertà e della sovranità di tutti. Ma soprattutto solo quando cesseranno di parlare le armi sarà possibile ragionare sulle responsabilità, potranno uscire dalla clandestinità coloro che a questa guerra si sono sempre opposti, in Russia, in Ucraina e ovunque. Se la prospettiva è la vittoria militare essa sarà comunque sempre ingiusta per qualcuno, darà libero sfogo alle vendette che sono il contrario della giustizia. 

Ma noi oggi siamo di fronte ad un’altra terribile prospettiva, essendo la guerra principale tra Russia e USA, potenze che hanno circa 3000 bombe nucleari a testa, in grado di distruggere il pianeta più volte, detenute in spregio del diritto internazionale, visto che è in vigore il Trattato ONU che le mette al bando, non dimentichiamolo mai. La Russia non accetterà di perdere la guerra, e non esiste possibilità di guerra nucleare limitata, questa sì è un’ingenuità da “anime (non) belle”.

Fermare questa macchina infernale, ormai senza guida, prima che sia troppo tardi, dovrebbe essere dovere morale di ogni uomo o donna, altrimenti proprio l’Ucraina sarà la prima regione ad essere distrutta e resa inabitabile per decenni, con tutti i suoi abitanti, e noi a seguire.

L’altra domanda che mi è stata posta da un’amica pochi giorni prima di partire per Roma è : “ma servono le manifestazioni per la pace?”. Altra domanda da prendere sul serio anche se chi la pone (non è il mio caso) spesso lo fa in maniera provocatoria.

Ad una disamina storica le principali guerre del Novecento ed anche dopo sono state precedute da punte alte della mobilitazione pacifista; era così nel 14-18, negli anni 30, e possiamo ricordare la prima (‘91) e seconda (‘03) guerra nel golfo. Dunque sembrerebbe che le manifestazioni non servano a fermare le guerre. 

Forse non sono sufficienti a fermarle ma un grande ed ampio movimento per la pace può determinare cambiamenti importanti nella politica interna ed internazionale. 

Pensiamo al grande movimento di opposizione agli euro missili degli anni ’80: non riuscì a fermare l’installazione degli euromissili ma contribuì all’avanzare di proposte come l’opzione zero, ebbe influenza anche oltre cortina, tanto che lo stesso Gorbaciov affermò essere stato proprio quel movimento, prevalentemente occidentale, ma con agganci anche all’Est, persino nel PCUS, una delle spinte ad una nuova politica di pace che portò poi non solo allo smantellamento degli euro missili, ma ad azioni di disarmo globale come mai ce ne furono al mondo. 

Nel 2014 una grande mobilitazione, invocata da papa Francesco, fermò una campagna di bombardamenti, già preparata e pronta a partire sulla Siria.

Dunque una manifestazione da sola non serve, ma come espressione di un movimento per la pace diffuso, è utilissima. 

Oggi questo movimento ha un grande ed autorevole “animatore”: papa Francesco. Va diffuso oltre i confini italiani, deve espndersi in Europa in America ma soprattutto deve collegarsi agli obiettori ed oppositori russi. La grande sfida è riuscire a vedere manifestazioni per la pace in Russia. 

Noi oggi viviamo una vera e propria campagna pro-guerra in cui la difesa della libertà degli ucraini costituisce la giustificazione, ma che va ben oltre la questione ucraina e che è guerra tra due imperialismi.

La manifestazione di Roma del 5 novembre ha ridato visibilità, coraggio e forza ad un movimento per la pace che ora deve continuare l’impegno contro tutti gli imperialismi e per una pace giusta in Ucraina, nel Medio Oriente, in Africa e dovunque nel mondo e che sarà un processo lungo che i conflitti armati possono solo rallentare e mai aiutare.

Dunque in piedi amanti della pace, fermiamo questa gierra e la gigantesca corsa al riarmo in corso. Non abbiamo rappresentanza politica ma abbiamo il sostegno ancor troppo debole della maggior parte del nostro popolo


giovedì 3 novembre 2022

Libero mercato dell'energia: chi ci guadagna?

 Mentre si parla in ogni dove, giornali, televisioni, social, di bollette e costi dell'energia che stanno mettendo in ginocchio famiglie e imprese in tutta Europa, mi sorgono in mente alcune domande.

Partiamo dall'inizio: il prezzo del gas è aumentato in misura abnorme da più o meno 1 anno a questa parte (360% il prezzo di riferimento stabilito dall'ARERA rispetto a un anno fa); mi si dice che questo dipende dalle quotazioni del mercato di Amsterdam, che però non è il mercato dove si scambiano il gas produttori e aziende del gas, ma un mercato finanziario dove operano solo agenti finanziari che quotano titoli cosiddetti "future" ossia una valutazione di quanto costerà il gas tra qualche anno. Queste fluttuazione hanno poco a che vedere con i reali costi del gas, di estrazione, manipolazione, commercio, ma sono solo speculazioni finanziarie.

Le ditte che ci riforniscono di gas il gas ce l'hanno stoccato e l'hanno pagato (e, mi dicono, in alcuni casi continuano a pagarlo) sulla base di contratti fatti in passato che non risentono ancora di questi aumenti speculativi; eventualmente ne risentiranno in futuro. Dunque queste aziende ci stanno vendendo del gas che hanno pagato 100 a 360, e dunque stanno facendo speculazione anhe loro.

E qui sorge la prima domanda: ma se anzichè avere il mercato libero fossimo ancora nella situazione degli anni '80-'90 in cui le aziende o erano contrallate dallo Stato o erano in regime di concessione con prezzi regolati dallo Stato, non avremmo un effetto molto più basso sul prezzo finale al consumo, più legato al prezzo reale a cui il gas è stato realmente comprato? Non avrebbero i poteri pubblici molte più possibilità di evitare l'effetto dirompente sulle famiglie e sulle imprese?

Si discute dell'intervento pubblico, ma questo, se ho capito bene, consisterebbe nel porre un limite ai costi delle bollette, ma non imponendo prezzi più bassi (ed equi) al prezzo dei fornitori di gas, ma accollandosi una parte delle bollette, ossia lo Stato pagherebbe una quota di queste bollette, garantendo comunque profitti speculativi alle ditte fornitrici di gas, ma alleviando il peso sulle famiglie. Ma questi soldi sono comunque soldi pubblici, ossia nostri, e dunque assisteremmo solo ad una specie di partita di giro.

Quello che è certo è che stiamo assistendo ad un grandioso e mondiale prelievo (io lo chiamerei furto, rapina) di risorse finanziaria dal popolo italiano, e non solo, che vanno nelle tasche di alcune imprese, poche, non solo russe o arabe, ma occidentali, come ENI, Total, ecc.

E' sempre successo che in tempi di guerra qualcuno si approffitta delle difficoltà di reperire beni necessario, ma venivano definiti "pescecani".

Mi sembra che tutto si vuol rimettere in discussione, si chiama la gente a fare sacrfici, ma il sacro principio del libero mercato rimane una sorta dogma assoluto indiscutibile. Volete la pace o il condizionatore acceso, ci si chiese qualche mese fa: non abbiamo nè la pace, sempre più lontana, nè il condizionatore (o riscaldamento) acceso, in compenso abbiamo un ulteriore balzo delle diseguaglianze sociali.

E se cominciassimo a pensare di cambiare?


venerdì 28 ottobre 2022

22 ottobre 2022: manifestiamo per la pace

 

Dopo 8 mesi di Guerra siamo di nuovo qui a manifestare per la pace; in realtà siamo sempre stati in piazza, perché ogni sabato da quel 24 febbraio abbiamo testimoniato il nostro no alla Guerra.

Ma oggi siamo preoccupati dalla continua escalation della Guerra, dalla mancanza di una volontà di arrivare a far tacere le armi, il volere una vittoria militare che porterà, se perseguita fino in fondo, alla Guerra nucleare la quale tutti sanno, anche se fanno finta di niente, che porterà a un immenso massacro planetario.

Il coordinamento AGiTe ha indetto questa manifestazione a cui hanno aderito 33 associazioni, in risposta ad un appello della coalizione Europe for Peace per organizzare 3 giorni di mobilitazioni locali il 21,22,23 ottobre e per una manifestazione nazionale per il 5 novembre.

Abbiamo elaborato alcuni punti chiave, in cui tutti ci ritroviamo, sono il nostro comune denominatore:

Innanzitutto la ferma condanna dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin:

  • non c’è alcuna giustificazione alla sua decisione di invadere un Paese libero e sovrano che ha tutto il diritto di mantenere la sua indipendenza e decider autonomamente del suo future; siamo quelli del NO alla Guerra senza se e senza ma, e dunque siamo contro l’invasione dell’Ucraina senza se e senza ma.
  • le guerre hanno sempre qualcuno che le iniziate e qualcun altro che le ha continuate. Per noi dal 24 febbraio la priorità è fermare la guerra. E questa può essere fermata con uno sforzo diplomatico. Pretendere di vincere sia da parte russa che da parte ucraina non può che portare a sempre maggiori lutti. Ma non ci sono solo l’Ucraina e la Russia tra i protagonisti di questo conflitto; ci sono gli Stati Uniti, c’è la Nato intera, c’è l’Europa, che anziché cercare i modi per fermare il conflitto, si stanno adoperando per esacerbarlo. Siamo al confronto tra le due superpotenze nucleari. Putin ha più volte minacciato l’uso di armi atomiche, a cui la Nato ha già detto che risponderà distruggendo ogni soldato russo in Ucraina; ma se Putin per non perdere terreno in Ucraina è disposto ad usare l’arma atomica cosa farà di fronte al rischio di perdere tutto l’esercito? Userà una flotta di armi atomiche contro l’Europa e a quel punto sarà la Guerra nucleare totale. Non dobbiamo giungere a quel punto. Per questo si devono riaprire le trattative, e l’ONU dovrebbe riprendere l’iniziativa convocando una conferenza di pace.
  • Il minacciato, e probabile, se non si ferma in tempo questa Guerra, uso delle armi nucleari dimostra che un mondo pieno di armi nucleari è un luogo estremamente pericoloso, come abbiamo detto da tempo, come hanno detto 122 Paesi dell’ONU che hanno approvato il 7 luglio 2017 il Trattato di proibizione delle armi nucleari. E questo Trattato è entrato in vigore il 22 gennaio 2021. Ora chi è nell’illegalità sono gli Stati che possiedono armi nucleari, Russia e Stati Uniti in testa, e I loro alleati che le ospitano sul proprio territorio, come l’Italia, rendendo il nostro Paese un bersaglio privilegiato. Dunque non ci stancheremo di dire “Italia ripensaci” e firma il Trattato.
  • Alla Guerra c’è chi si oppone anche nei Paesi belligeranti. Noi sosteniamo tutti costoro, gli obiettori e disertori (per noi sono eroi) soprattutto russi, che sottraggono uomini agli aggressori, ma anche ucraini, che eroicamente, sfidando il carcere e l’esecrazione di un’opinione pubblica educate a vedere solo nelle armi la possibilità di resistenza, mostrano un’alternativa alla resistenza armata, e bielorussi, il cui Paese fa finta di non essere coinvolto, ma è pienamente corresponsabile dell’invasione, e a rischio di coinvolgimento diretto da un momento all’altro. Il MIR internazionale, la War Resisters’ International hanno costituito una rete internazionale per il supporto, l’assistenza, l’aiuto agli obbiettori russi ucraini e bielorussi; invece I “campioni del mondo libero” Finlandia e Polonia respingono alle frontiere I russi che scappano quando dovrebbero accoglierli a braccia aperte. Noi chiediamo, anche con una petizione al consiglio europeo che si offra loro asilo politico senza indugio.

Continuiamo il nostro impegno, perché il popolo della pace deve farsi vedere, sentire, rompere il muro del silenzio che quasi tutti I mezzi di comunicazione stanno costruendo attorno a loro. Qualcuno ci ha detto che è ora di “fare chiasso”. E dunque facciamo sentire la nostra voce, sosteniamo l’unica autorità mondiale che si sta battendo per un negoziato che ponga fine alla Guerra, il Papa, chiediamo cessate il fuoco subito

Questo articolo è stato pubblicato sul sito del centro Sereno regis


Commento (tardivo) alle elezioni

 

Partiamo da alcuni dati. Una volta, quando i sondaggi erano alle prime armi e la politica qualcosa di diverso dal marketing, si usava confrontare i risultati elettorali con il turno precedente, oggi si tende a confrontarli con i sondaggi fatti qualche settimana prima.

Ora dal 2018 ad oggi il centrodestra è rimasto sostanzialmente uguale, con un piccolo avanzamento (400mila voti in più), ma con un grosso travaso interno: FDI (e chiamiamo i partiti con il loro nome non con quello del leader, che sarà importante, ma non vince, o perde, da solo, o da sola) ha prosciugato i suoi alleati esattamente come una volta faceva Berlusconi (qui invece bisogna proprio citare il personaggio, essendo il partito una sua proprietà, proprio come le sue aziende); ciò non è indefferente, perchè si tratta di uno spostamento sull'ala destra della destra. Il M5S è il grande sconfitto perchè risulta aver perso 6 milioni di voti, ma poichè era dato per morto 20 giorni fa (forse un desiderio più che un dato reale dei giornaloni, establishment, casta politica desiderosa di danzare sul cadavere di coloro che hanno osato entrare nel salotto senza essere invitati e col preciso scopo di sbatterli fuori!), ora che si è rivelato vivo e vegeto per quanto dimezzato, festeggiano.

Il PD ne ha persi poco meno di 1 milione rispetto ai pur deludentissimi risultati di 5 anni fa, segno di una crisi irreversibile di questo partito percepito come “il” partito dell’establishment (e forse lo è per davvero), dunque poco amato, per usare un eufemismo, dai ceti popolari e dal piccolo popolo dell’alternativa, ma non riconosciuto come proprio neanche da quegli ambienti che nell’establishment si riconoscono.

La sinistra (il PD non è un partito di sinistra, nel migliore dei casi è di centro, per non dire di destra moderata e liberale) divisa e dispersa nelle posizioni più variegate e fantasiose somma a 1,7 milioni di voti, il 6 % dei voti validi, ma il 3,6 degli elettori: ben poca cosa, soprattutto ininfluente, se pensiamo alla sua divisione.

Un primo dato da sfatare è che ci troviamo di fronte ad un’ondata nera. FDI ha il voto di poco più del 15% degli elettori, tanti, troppi, ma non un’ondata, mentre la destra che torna la governo è comunque lontana dai fasti dei tempi d’oro del cavaliere, avendo 12 milioni di voti (contro I 19 di allora) pari al 27 % degli italiani, il fatto è che manca l’altro di schieramento, che ha rinunciato a “combattere”, preferendo l’inutile e irresponsabile astensione, mentre I dirigenti politici han preferito farsi la Guerra tra loro piuttosto che opporsi all’avversario, unito ad una legge che falsa la rappresentatività e punisce chi non si coalizza, questo 26% diventa il 44 dei voti validi ed il 60% degli eletti.

Bel capolavoro caro Letta, vero? E cari tutti che vi fa schifo la politica perchè non vi trovate il vostro personalissimo partito?

Detto questo rimane il fatto che c’è un elettorato di destra si è andato estremizzando sempre di più e che non si riesce a scalfire nonostante gli evidenti fallimenti del ceto politico cui hanno dato fiducia.

A questo non corrisponde una forza, pur minoritaria, di sinistra, che metta al centro i temi sociali, non solo quelli radical-progressisti, tutti incentrati sui diritti individuali, alcuni dei quali alquanto discutibili; in Francia, in Grecia (poi massacrata dall’establishment europeo per aver osato vincere le elezioni), in Spagna, questa si è materializzata, in Italia sembra invece essere prigioniera di se stessa. Tutti i tentative, dall’alternativa del 2008, alla rivoluzione civile del 2013, sono falliti, anche perchè appaiono più un residuo di vecchi partiti e ideologie ormai scomparse, e soprattutto in un Paese come l’Italia, impietoso nei confronti dei perdenti, non ha futuro.

La campagna elettorale è stata noiosa e brutta; oggi abbiamo 2 enormi emergenze che rischiano di travolgerci: i cambiamenti climatici e la guerra, temi quasi assenti; eppure con la questione sociale costituiscono i punti sensibili per il popolo di sinistra. C’è da meravigliarci se poi molti di questi non sentendosi rappresentati da nessuno si siano rifiutati di andare a votare?

E i movimenti? Non illudiamoci, non stanno molto meglio, anzi, non stiamo meglio, giacchè io mi considero tra questi. Essi sono estremamente minoritari, vanno o su temi troppo grandi, o su piccole battaglie separate l’una dall’altra; gridano vittoria se si ritrovano in qualche centinaio, ma il popolo, la gente non ci considera, non ci segue, ci vede come o un dato simpaticamente folcloristico, o, nella maggior parte, come un fastidio.

Mi fanno ridere, ma anche rabbia, quegli slogan roboanti, tipo “siamo l’onda”, forse una riflessione si impone anche tra noi.

Eppure l'elemento più drammatico della situazione politica italiana non è tanto la vittoria destra, che è totale politicamaente, ma limitata nei numeri, quanto nell'assenza di un'opposizione: è questa la differenza con le vittorie di Berlusconi nel 94 e nel 2001.

C'è da sperare che di sconfitta in sconfitta qualcuno le domande se le ponga e alla fine si trovi una quadra, perchè il popolo della sinistra esiste, solo che è sfiduciato, disperso. Ha bisogno di un soggetto che lo rianimi e, soprattutto, lo faccia sognare.