venerdì 20 giugno 2025

21 giugno fermiamo il riarmo

 

L’ennesima guerra tra Iran e Israele con possibilità di allargamento agli Stati Uniti mostra che il mondo si è fatto pericoloso.

Il diritto internazionale, che non ha mai goduto gran buona salute, viene continuamente fatto a pezzi; tutte quelle istituzioni, quell’impalcatura, che pur con tutti i suoi difetti, ha cercato di garantire un minimo di rispetto di regole, favorendo soluzioni pacifiche, come le Nazioni Unite, la CSCE, i vari trattati antinucleari, sono ormai emarginate o stracciate.

Molti ritengono che, vivendo in un mondo pericoloso, occorre attrezzarsi, armarsi e armarsi, in modo da essere pronti a rispondere ad eventuali aggressioni.

E’ la politica perseguita dai nostri governanti europei, che per questo stanno approntando un colossale piano di armamenti per rendere, loro dicono, l'Europa più sicura.

In realtà la corsa agli armamenti non è iniziata adesso: è in corso da almeno 20 anni

Le spese militari dei Paesi NATO membri dell’Unione Europea (considerando le definizioni e i dati della NATO) sono passate da 145 miliardi di euro nel 2014 a una previsione di bilancio di 215 miliardi nel 2023 (calcolata a prezzi costanti 2015); nel 2023 la spesa per gli armamenti nei Paesi UE della NATO ha raggiunto i 64,6 miliardi di euro (+168% nel decennio).

Non si tratta dunque di riarmare l’Europa, ma di moltiplicare un riarmo già in atto.

Non è assolutamente vero che l'Europa sia sguarnita in quanto a difesa; forse quello che  manca è l'insieme di tecnologie, di potenza, di armi sofisticate tale da renderla una grande potenza imperiale.

 Qual è lo scopo di questo riarmo? Innanzitutto quello di rinvigorire l'industria degli armamenti; molti degli attuali governanti europei da lì vengono, a cominciare da Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Merz, il nostro ministro della difesa Crosetto; in secondo luogo quello di poter stare alla pari con gli Stati Uniti la Russia la Cina come grande potenza imperiale; poi c'è quello di difendere non tanto la nostra democrazia e le nostre libertà, altri sarebbero i mezzi da utilizzare, ma la nostra egemonia nel mondo, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e delle risorse, finora assicurati di concerto (sottoposto) con gli USA: ora si teme che gli Stati Uniti perseguano interessi divergenti dai nostri.

La conseguenza è di rendersi minacciosi nei confronti di altri paesi, considerati concorrenti ed avversari: si dice che la Russia si stia preparando ad attaccare l'Europa nel 2030 per cui noi dobbiamo essere pronti ad attaccare la Russia nel 2030: questa rischia di essere la classica profezia che si autoavvera.

L'Europa sarà più sicura solo se partirà un vero e proprio piano di disarmo, se verrà ridata autorevolezza all’ONU, ripristinata la CSCE.

Si dimentica completamente la storia; si cita fino alla noia il mito del patto di Monaco che nel 38 avrebbe provocato la seconda Guerra mondiale per colpa dei pacifisti (le cose andarono diversamente ma questo meriterebbe un discorso a parte); si dimentica, invece, che tutte le volte che ci sono state corse agli armamenti queste sono sfociate in guerra: il caso più evidente è quello della prima guerra mondiale: una guerra terribile per i tempi; oggi che cosa significherebbe? Una guerra atomica.

La maggior parte della popolazione europea è refrattaria a questo piano di riarmo; in particolare in Italia tutti i sondaggi danno la maggioranza della popolazione contraria e ancor meno disposta ad andare a combattere per non si sa bene quali obiettivi e contro quale nemico.

Dobbiamo dar voce a questa maggioranza; per questo un insieme di associazioni piccole e grandi si troveranno sabato per una grande manifestazione nazionale a Roma.

Per protestare contro tutte le guerre in corso.

Per fermare quel massacro che si sta compiendo a Gaza nel silenzio della cosiddetta comunità internazionale, che qui non vede violazioni del diritto internazionale né della politica internazionale basata sulle regole.

Per contrastare questa deriva riarmista, per spingere forze politiche a lavorare sinceramente per la pace e non per la guerra, i governi ad ascoltare la maggioranza dei propri cittadini.

Io mi unirò alla manifestazione sabato 21 giugno e spero di essere in buona ed ampia compagnia.

mercoledì 18 giugno 2025

La più grande minaccia di Israele non è l'Iran o Hamas, ma la sua stessa arroganza

Suggerisco la lettura di questo interessante articolo, Come una israeliana di origine iraniana vede la guerra contro l'Iran 

La più grande minaccia di Israele non è l'Iran o Hamas, ma la sua stessa arroganza: Sono passati più di 46 anni da quando ho lasciato l’Iran con la mia famiglia all’età di nove anni. Ho trascorso la maggior parte della mia vita in Israele, dove abbiamo costruito una famiglia e ...

sabato 14 giugno 2025

fermare Israele


2 sono gli eventi di questa settimana su cui vorrei soffermarmi: le due marce nonviolente verso Gaza e l’attacco di Israele all’Iran.
Ci sono stati 2 tentativi di portare viveri e aiuti alla popolazione di Gaza, da quasi 3 anni sotto le bombe israeliane, ed ora ridotta alla fame: la freedom flotilla, via mare, con la partecipazione della nota attivista ecologista Greta Thunberg e la global march to Gaza, via terra, con la partecipazione di diversi attivisti dall’Italia e 2 da Torino.
La nave della flotilla è stata sequestrata ancora in acque internazionali, e i componenti presi prigionieri da Israele, i secondi sono fermi all’aeroporto del Cairo, da dove avrebbero dovuto iniziare la loro marcia fino al valico di Rafah, anch’essi sequestrati dalle autorità egiziane. Stessa reazione da parte di Israele e di Stati arabi.
Si tratta di iniziative innocue: portare aiuti alimentari e sanitari, controllabili e verificabili, un compito che spetterebbe a tutta la comunità internazionale, che invece assiste silente a questo immondo massacro; sono azioni nonviolente, promosse dalla società civile, dal basso; qualcuno chiede a più riprese ed in più occasioni dove sono i pacifisti; eccoli, sono lì, a pagare di persona, a rischiare perché in questo "mondo al contrario", non sono i mercanti d’armi, coloro che portano guerra e distruzione, ad essere fermati, ma chi porta cibo, acqua, medicine, tacciato di essere terrorista, che si vede costretto a violare un ordine che genera solo disordine. 
E cosa fanno gli Stati, anche quelli cui questi, sì volenterosi cittadini appartengono? Nulla, al massimo cercano di prendersi i propri concittadini per portarseli a casa. Non sanno, o forse se ne rendono conto benissimo, che collaborare a reprimere iniziative nonviolente come queste, significa fare “promozione” per altre iniziative violente!
Un giorno, quando i libri di storia riporteranno la vergogna di un occidente che vuole spendere per armarsi fino ai denti per mantenere la propria egemonia sul mondo, ma incapace di realizzare quella politica internazionale delle regole di cui si riempie la bocca, e assiste senza fare nulla al massacro di un intero popolo, saranno questi episodi che potranno riscattare la dignità europea.
L’altro episodio è l’attacco, senza giustificazione alcuna, di Israele all’Iran. Aldilà di quel che uno possa pensare del regime degli Ayatollah (e io spero che questo possa cadere il prima possibile), oggi l’Iran non attacca né minaccia Israele; è Israele la minaccia per tutti i vicini; Netanyahu continua a portare guerra ovunque, e lo fa perché sa di essere protetto, dagli Stati Uniti in primis, e dall’Occidente tutto.
Il problema per chi desidera uscire da questa follia è: come è possibile fermare Netanyahu, e Netanyahu è oggi, purtroppo, Israele, anche se esiste una larga fascia di israeliani, ebrei e arabi,che protestano contro il proprio governo, e dobbiamo sostenerli.
Esso costituisce un esempio negativo, un modello che al momento sembra vincente: più aggredisci, più sei violento, più fai paura e nessuno oserà toccarti.
Sarebbe ora che la comunità internazionale adotti sanzioni contro questa macchina da guerra, che sulla guerra vive e prospera, e null’altro sa fare se non la guerra, a cominciare dall’Unione Europea: embargo su ogni forma di collaborazione militare, sospensione di accordi commerciali fin quando almeno non ci sia un cessate il fuoco duraturo e la cessazione di ogni atto ostile nei confronti dei vicini, riconoscimento dello Stato di Palestina.
E’ il minimo che si possa chiedere anche se dubito che verranno mai attuate. 

mercoledì 11 giugno 2025

Alcune riflessioni sul referendum

 

Il risultato è deludente: 30%, neanche un italiano su 3 che voglia interessarsi alle decisioni che lo coinvolgono! Che disastro!

Trovo ridicolo il tentativo di accaparrarsi vittorie e distribuire sconfitte: qui ha perso la democrazia, abbiamo perso tutti , indipendentemente dai quesiti posti e dal loro esito. È un problema non certo solo per la sinistra (se esiste ancora qualcosa che si possa definire tale) o per i progressisti, ma per tutti, moderati, liberali, e, direi anche di destra.

Un problema che sarebbe bene affrontare alle sue radici.

Dopo questo tuffo di depressione, però, qualche ragionamento più analitico bisogna farlo, e magari scopriamo che ci sono anche elementi positivi.

Una analisi del voto letta su facebook suggerisce di andare a controllare i dati a Matera, città dove si votava per il ballottaggio delle comunali: i cittadini di Matera che sono andati per il secondo turno al 57% di partecipazione hanno votato per il referendum con il 53% e nonostante abbiano consegnato la vittoria al candidato di centrodestra hanno scelto i SI per i diritti del lavoro all’ 80% e quelli per i diritti di cittadinanza dei migranti al 60%. Per curiosità sono andato a controllare i dati di altre città nella stessa situazione: Taranto, Fiano romano, poi ho smesso perché i dati erano simili: percentuali di partecipazione al ballottaggio attorno al 50%, per i referendum 3,4 punti in meno con risultati in linea a quelli nazionali, 80 sul lavoro 60 su cittadinanza.

Cosa dedurne?

1)      Chi non è andato a votare lo ha fatto perché la politica non lo interessa; non è assolutamente una espressione di voto sul referendum: il 70% di astenuti sono astenuti e basta, non aggregabili a nessuno schieramento.

2)      Tra chi si è espresso abbiamo un plebiscito sui temi del lavoro, il che vuol dire che la CGIL (il referendum è praticamente suo) interpreta bene l’opinione degli italiani (il problema è che non basta l’opinione, occorre anche crederci).

3)      Sulla cittadinanza, sempre tra chi si è espresso, vi è una solida maggioranza per i diritti di cittadinanza agli italiani di origine straniera (sono italiani anch’essi ormai, solo senza cittadinanza); questo anche tra l’elettorato di destra, non è poi una brutta notizia.

4)      Il quorum non ha senso, permette solo a chi è per il No, ma teme di perdere, di fare la furbata di aggiungere i propri (pochi) voti agli ormai numerosissimi disaffezionati elettori che rinunciano al proprio diritto: e poiché questi ormai viaggiano prossimi al 50% il giochino è fatto, e viene ripetuto ad ogni referendum.

Allora abbiamo vinto? Possiamo essere soddisfatti?

Assolutamente no, proprio perché incombe la scelta di rinunciare alla democrazia (anche questa è una scelta, anche se inconsapevole) del 70% degli italiani, anche se bisognerebbe mettere nel conto il silenzio stampa sui referendum di tutti i grandi media, rotto solo negli ultimi giorni, lo stillicidio di minielezioni fatte ogni 15 giorni, in giorni diversi, ma rimaniamo sul fatto che dove 2 cittadini su 3 rinunciano al diritto di votare, lì la democrazia è malata.

L’altro elemento è che non basta “esprimere un’opinione” quando ci viene fatta una domanda; la democrazia è partecipazione, i diritti, gli obbiettivi, bisogna conquistarseli, ma se neanche si vuol fare la fatica di passare dal seggio, in genere a non più di 200 metri da casa, e mettere la croce in una scheda, per trasformare la propria “opinione” in decisione, è lì il problema. E lo stesso problema c’è su argomenti come pace e disarmo: è vero che posti di fronte alla domanda se vuoi il riarmo, la maggioranza risponde no, giammai, ma questa maggioranza cosa è disposta a fare per impedire che questo riarmo vada avanti?

Partire di qui, con la consapevolezza di questo enorme problema, da cui discendono tutti gli altri, ma anche con la coscienza che si stanno interpretando esigenze giuste, su cui il consenso potrebbe esserci, se solo si riuscisse a dare più fiducia al popolo, è il compito che dovrebbero sobbarcarsi tutte le forze sedicenti di sinistra e progressiste.

Vedo invece circolare commenti, alcuni interessati, altri semplicemente autolesionisti, sulla fine dell’ipotesi di una sinistra che faccia del lavoro il proprio problema, sul fallimento della Schlein, primo segretario del PD che ha cercato di spostarlo un po', pochino, più a sinistra, come se gli altri non fossero andati incontro a rovinosi disastri.

Oggi ci troviamo di fronte a 2 pericoli come conseguenza di questi referendum: l’affossamento dell’istituto referendario e il ritorno ad una rincorsa al centro che toglierebbe ulteriori consensi alla sinistra senza conquistarne di nuovi.

 

lunedì 2 giugno 2025

Disobbedire alla guerra per costruire pace

 

Il testo dell'intervento che ho fatto al convegno "Un Arcobaleno prima della tempesta" tenutosi a Torino il 31 maggio scorso.

Il mio discorso riguarderà l’obiezione di coscienza ripercorrendone velocemente storia e motivazioni, la situazione attuale in Italia, per allargarsi alle alternative alla guerra, proponendo alla fine alcune iniziative pratiche da attuare oggi.

Disobbedire alla guerra:

il modo più naturale e diretto è quello semplicemente di non farla. Non parteciparvi.

-        Non partecipare alla sua preparazione

-        Alle politiche che la avvicinano

-        Al suo finanziamento.

-        Soprattutto non farla: l’obiezione di coscienza

 

Breve storia

L’obiezione di coscienza ha radici antiche: molti cristiani sotto l’impero romano si rifiutarono di prestare servizio militare: la legge di Dio non uccidere era superiore a quella dell’imperatore.

San Massimiliano è uno dei più noti, martirizzato nel III sec per aver rifiutato l’arruolamento: è oggi proposto come santo protettore degli obbiettori.

La questione in realtà era dibattuta ed alla fine prevalse la teoria della “guerra giusta”.

In tempi più recenti abbiamo un altro obbiettore salito agli altari: il beato Franz Jägerstätter, austriaco, ghigliottinato nel 1943 per essersi dichiarato obbiettore.

 

Nell’epoca moderna ci sono alcune chiese, nate dalla riforma, che hanno fatto proprio il rifiuto di prendere le armi: quaccheri, mennoniti; a questi vanno aggiunti i vecchi credenti in Russia, i testimoni di Geova. La motivazione è soprattutto morale: un cristiano non può uccidere; il comandamento è assoluto, per questo non si può servire in una struttura come l’esercito.

 

Nell’Ottocento l’internazionalismo, la solidarietà tra gli oppressi, la diffusione di idee anarchiche fan sì che si diffonda il rifiuto dell’esercito.

 

Abbiamo diversi autori che richiamano il dovere morale di rifiutarsi di uccidere: tra questi ricordo l’americano Henry Thoreau, che a metà ‘800 rifiutò di pagare le tasse come forma di protesta contro la guerra tra USA e Messico; e il ben più famoso Tolstoj: dal 1880 in poi, quando avvenne quella che lui chiamò la sua conversione, dedicò quasi interamente la sua attività e la sua vita a sostenere gli obbiettori di coscienza. Egli vede nel servizio militare obbligatorio che in quegli anni si stava diffondendo, uno strumento di oppressione.

Con Tolstoj il rifiuto della guerra, e del servizio militare, diventa atto non più solo morale, ma politico.

 

Dall’obiezione passiamo alla nonviolenza.

Con Gandhi la nonviolenza diventa mezzo di lotta politica, resistenza all’oppressione, difesa dalle aggressioni, strumento valido per ottenere giustizia, praticata da grandi masse di popolo.

 

In Italia con Pietro Pinna nel 1948 l’obiezione fa capolino nel dibattito pubblico; si ha la prima proposta di legge per la sua legalizzazione

 

L’accoglienza da parte cattolica all’inizio fu molto diversificata. Dal lato ufficiale ci fu comprensione ma rifiuto (articolo di Messineo su “La Civiltà Cattolica”)

 

 

Nel 1955 don Mazzolari, che la guerra l’aveva vista da vicino come cappellano militare al fronte della Grande Guerra, scrive “Tu non uccidere”, anonimo, per non incorrere nella repressione, civile ed ecclesiastica, tanto per capire i tempi.

Ci furono i primi obbiettori cattolici: Mario Gozzini, Fabrizio Fabbrini e altri.

Il MIR, nato nel 1914 da una doppia obiezione, la cui sezione italiana fu costituita nel 1952, raccolse e sostenne questi obbiettori.

La questione arrivò anche al Concilio, e qui ci fu un primo rovesciamento.

La “Gaudium et spes”, promulgata nel 1965, apre all’odc e ne auspica il riconoscimento legale.

Lo stesso anno, 1965, don Milani scrive ai cappellani militari la famosa lettera, nota come “L’obbedienza non è più una virtù” ed in seguito a denuncia, quella ai giudici. Il caso, col processo che si protrasse fino al 1969, fece scalpore.

 

Nel 1972 arriva il riconoscimento legale: si apre il servizio civile; in esso si impegneranno non solo i movimenti nonviolenti, ma anche larga parte delle associazioni di volontariato cattolico, tra cui la Caritas; l’obiezione di coscienza da “ammessa” diventa scelta privilegiata.

 

Nel 1983 MIR, Mn ed altri, a cui si aggiungeranno Assopace e Pax Christi lanciano la prima campagna di obiezione di coscienza alle spese militari, che si pone come obbiettivo, l’istituzione della difesa popolare nonviolenta, alternativa a quella militare, e l’opzione fiscale, attraverso cui i cittadini possono decidere se finanziare la difesa militare o quella nonviolenta.

 

Situazione oggi

L’ONU ha inserito l’odc tra i diritti fondamentali, assumendo che essa costituisce espressione del diritto alla libertà di coscienza (art18 della dichiarazione universale).

Anche il consiglio d’Europa e l’Unione europea la inseriscono tra gli obblighi dei propri stati membri.

 

Il riconoscimento formale è garantito nella maggior parte degli stati e dappertutto in Europa, ma con leggi spesso molto restrittive, e in molti paesi è resa difficile: tra questi Turchia, Grecia, Russia, Bielorussia, Ucraina e tutti gli stati belligeranti in genere.

 

In Italia la leva è stata sospesa, non abolita; in qualsiasi momento il governo può ripristinarla; secondo il codice militare oggi in vigore, chi volesse obbiettare, ha 15 giorni di tempo dall’eventuale chiamata per dichiararsi obbiettore, la domanda non è soggetta ad indagine; non possono farla coloro che hanno prestato servizio in corpi armati, chi ha porto d’armi, chi ha subito condanne per atti violenti o partecipazione a gruppi eversivi (artt 2097 ss codice ordinamento militare).

In caso di guerra o mobilitazione generale, gli obiettori che venissero richiamati, verranno assegnati alla protezione civile o alla croce rossa.

 

Le alternative alla guerra come difendersi.

La domanda di fondo che ci viene sempre rivolta è: come ci si difende dalle aggressioni? Sarebbe bello un mondo di nonviolenti, ma i violenti, i dittatori, i prepotenti ci sono e occorre prepararsi ad affrontarli.

Noi rispondiamo: pienamente d’accordo, i nonviolenti non negano il diritto alla difesa ed alla sicurezza; solo che nel secolo XXI la guerra è “fuori dalla ragione” (Pacem in Terris).

Qualsiasi guerra, ma soprattutto quelle che coinvolgono potenze nucleari, se non fermate in tempo, hanno come sbocco la guerra atomica, e lì non ci sono né vincitori né vinti, ma solo morte.

Dobbiamo usare altri mezzi per difenderci, ed essere sempre pronti a resistere con la nonviolenza e l’organizzazione popolare.

 

La difesa civile non armata e nonviolenta (DCNANV) entra nella legislazione italiana nel ’98, come conseguenza della lunga campagna di obiezione alle spese militari; essa è una realtà, usata più volte dai popoli per resistere alle aggressioni ed ottenere giustizia. Esistono studi e ricerche che ne dimostrano l’efficacia, in genere superiore alle lotte armate.

Esempi: India, i diritti civili negli Stati Uniti per gli afroamericani, la liberazione dalla dittatura di Pinochet in Cile, dalla dittatura di Marcos nelle Filippine ‘86, la Polonia di Solidarnosc, e tutte le rivolte nell’Est che hanno portato alla caduta del muro; la resistenza nonviolenta dei popoli ha sconfitto l’impero sovietico non la guerra, né la corsa agli armamenti, come vorrebbero farci credere; le primavere arabe, anche se poi hanno avuto un'involuzione; le varie rivoluzioni colorate: in Cecoslovacchia, Serbia, Ucraina, e in vari altri paesi. I casi storici sono molto più numerosi.

Per approfondire occorrerebbe un convegno ad hoc, anzi sarebbe necessario un approfondimento in merito.

 

Nel 1995 Alex Langer, attivista molto noto nei movimenti non violenti, per la pace, per l’ecologia, europarlamentare per i Verdi, propose l’istituzione di corpi civili di pace (CCP), con una mozione poi recepita dal Parlamento europeo, ma mai attuata.

Da alcuni anni è in corso una campagna dei movimenti nonviolenti chiamata “Un'altra difesa è possibile”; si tratta di una proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione di un dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta, finanziato con una parte dei proventi irpef che i cittadini decidono di destinare ad esso.

Sono state raccolte quasi 100.000 firme, la proposta è stata reiterata da deputati e senatori sensibili per 2 legislature, ma ancora giace nei cassetti della camera.

E quando sento parlare della partecipazione dei cattolici, dei cristiani nella politica, di un loro specifico, mi chiedo: non dovrebbe essere proprio questo uno dei temi di fondo un'idea diversa di difesa, la nonviolenza come stile di una nuova politica?

 

Che fare?

Provo a buttar giù una serie di proposte, non esaustive, ma che potrebbero, se portate avanti, concretizzare una alternativa alla guerra.

 

Sono su 4 livelli di impegno:

 

Stili di vita

“Vivere semplicemente perché tutti possano semplicemente vivere” (Gandhi).

Una società che consuma risorse in eccesso, che mette in crisi la sostenibilità del pianeta, che crea diseguaglianze è una società belligena.

Negli anni ’80 venne lanciata una campagna che coinvolse soprattutto il mondo del volontariato: “contro la fame cambia la vita”, in cui si proponevano alcune azioni ed impegni per rivedere il nostro stile di vita consumista in uno stile che favorisca il rispetto dei diritti umani e del lavoro, la sostenibilità ambientale, l’accesso di tutti alle risorse che la Terra offre.

Qualcosa che può iniziare da noi stessi o in piccole comunità.

 

Impegno culturale:

Informarsi, approfondire diffondere notizie indipendenti, raccontare la verità, per quanto possibile, senza lasciarsi trascinare dalla propaganda: ci sono agenzie e siti internet che possono essere utili; Transcend, fondata dal compianto Johann Galtung, Wagingnonviolence, atlante delle guerre.

Educazione alla pace (il centro sereno regis fa un grosso lavoro in tal senso)

Ricerca studio e formazione all’azione nonviolenta; le attuali reti (rete italiana pace e disarmo, europe for peace) potrebbero promuovere la formazione di gruppi di azione nonviolenta in ogni luogo dove nodi della rete sono presenti; bisognerà pur sperimentarla la difesa nonviolenta!

 

Politica:

La pace e la guerra sono decisioni politiche, non catastrofi naturali; è dunque a livello politico che occorre intervenire per modificare le scelte che portano alla guerra.

Una politica che cerchi la giustizia attraverso il rispetto dei diritti umani, ripudi la guerra.

La scelta dell’Europa di puntare sul riarmo è una scelta folle: stiamo creando le stesse condizioni storiche dei primi anni del ‘900: sappiamo quale sarà il risultato.

Dobbiamo batterci per il cessate il fuoco immediato: a Gaza, in Ucraina, ovunque; fermate le armi e muovete la diplomazia.

Occorre un piano di disarmo generalizzato, a cominciare da quello nucleare.

Nel 2021 è entrato in vigore il trattato ONU di proibizione delle armi nucleari (TPAN) firmato da 94 stati: produrre, detenere, ospitare nel proprio territorio le armi nucleari è mettersi fuori dalla legalità internazionale. Bisogna chiedere che l’Italia aderisca a questo trattato.

 

Movimenti:

È al livello dei movimenti che possiamo prenderci degli impegni più concreti ed immediati.

Propongo qui 4 campagne:

 

-        Dichiarazionedi obiezione di coscienza: sensibilizzare soprattutto i giovani in età di leva a dichiararsi sin d’ora obiettori di coscienza; il movimento nonviolento sta raccogliendo queste dichiarazioni che intende presentare al presidente della repubblica chiedendo che vengono da subito inseriti in un albo di obiettori. Dono state raccolte più di 5000 firme, significative per testimoniare la propria volontà di rifiutare la guerra, troppo poche per un movimento di opposizione alla guerra.

-        Objectwar campaign: è una campagna europea di sostegno agli obiettori e a tutti quelli che rifiutano la guerra in Ucraina, Russia, Bielorussia. Chiede che l’UE conceda l’asilo politico a chi fugge da paesi in guerra per motivi di coscienza, cosa che attualmente non è scontata, anzi difficile da ottenere. Il sostegno è esteso anche ai refusnik israeliani, militari che vogliono uscire dall’esercito di Israele perché non vogliono più partecipare a quella immonda mattanza cui8 stiamo assistendo.

-        Un’altra difesa è possibile: è la campagna già citata per promuovere la DCNANV

-        Italiaripensaci: è la campagna nata di ICAN, RIPD, Senzatomica per chiedere l’adesione dell’Italia al TPAN

 

A queste aggiungo come azioni

Campagnabanche armate; viene pubblicato un elenco con gli investimenti che le varie banche fanno nell’industria delle armi: disinvestiamo da quelle più esposte investiamo in quelle “disarmate”

Sostegno alle lotte nonviolente nel mondo

Attività nella nonviolenza organizzata (M.I.R., Mov. nonviolento, CSSR, PaxChristi, ecc).

Nel 2017 a Torino è nato il coordinamento contro le armi atomiche, tutte leguerre e i terrorismi: A.G.iTe., composto da diverse associazioni pacifiste.

 

Termino con un invito ad un’azione semplice semplice: ogni sabato il coordinamento agite è in piazza Carignano per un’ora di presenza di pace, tutti i sabati dal febbraio 2022, è una testimonianza che teniamo viva con costanza, per rendere visibile che non dobbiamo e non vogliamo assuefarci alla guerra.

Chi volesse venga, di sabato, dalle 11 alle 12 in piazza Carignano; a sostegno di una pace disarmata e disarmante.

 

 

 

 

 

 

mercoledì 23 aprile 2025

Addio a papa Francesco.

 

Risuonavano ancora nell’aria le note dell’Exultet proclamato la sera di Pasqua, i rintocchi gioiosi che ripetevano, come ogni anno, l’annuncio prodigioso: “Cristo è risorto”. Il nostro caro papa Francesco veniva chiamato là dove il Risorto ci aspetta; è la speranza che proclamiamo tutti noi più o meno degni del nome che ci fregiamo di cristiani, che dovremmo attendere con gioia; eppure che tragedia per chi rimane.

Era una notizia attesa; io, personalmente, me l’aspettavo da un momento all’altro, da quei giorni di febbraio in cui Francesco era stato ricoverato a vivere il suo personale calvario; ad un certo punto sembrava ce l’avesse fatta: non era questa la sua ora, mi dissi; invece era proprio questa la sua ora, la sua Pasqua così simbolicamente coincidente con la Pasqua liturgica.

Se n’è andato un pastore, una guida, colui che ci spronava e ci rassicurava al tempo stesso, che ci pungolava a seguire il Maestro, con i fatti, non solo a chiacchiere.

E’ stato il mio papa; quello a cui mi sono sentito più vicino, in cui più mi sono riconosciuto.

Intendiamoci, dissento da chi cerca improbabili confronti coi papi precedenti, pensando che per esaltare papa Francesco si debbano denigrare i precedenti, come ho visto scrivere; la storia della chiesa, come tutta la storia in genere, ha una sua continuità, e anche papa Francesco arriva al culmine di un cammino che ha radici lontane.

Prendiamo il tema pace e nonviolenza, che è uno di quelli che mi interessano maggiormente; come non ricordare la Pacem in Terris di Giovanni XXIII e quel suo definire la guerra moderna fuori dalla ragione, l’appello di Paolo VI davanti all’assemblea generale dell’ONU “mai più la guerra”, e Giovanni Paolo II che ripete a non finire che la “guerra è un’avventura senza ritorno”; e Benedetto XVI parla di magna charta della nonviolenza cristiana”.

Dunque il percorso è stato lungo ma progressivo.

Non c’è dubbio, però, che con Francesco la condanna della guerra, di qualsiasi guerra, anche quella di difesa, è diventata totale, radicale, chiara, non soggetta ad interpretazioni; e la nonviolenza diventa la proposta di un nuovo stile a cui la politica tutta dovrebbe ispirarsi; non si tratta più di frasi, discorsi, incisi, un ‘dicui’; diventa la base del suo magistero sociale.

Il discorso non si limita al rifiuto dei conflitti armati, ma diventa ricerca di quelle condizioni che favoriscono e sostanziano la pace giusta, senza cui si può avere sospensione dei combattimenti, ma non pace vera: la perequazione tra ricchi e poveri, il superamento del capitalismo, la ricerca della giustizia, la cura dell’ambiente e la salvaguardia delle risorse. Espressione compiuta e sistematica di tale magistero è la Laudato si, ma anche la Fratres omnes.

Per uno come il sottoscritto che ha dedicato almeno i 2/3 della propria vita alla ricerca della nonviolenza e dei modi per poterla realizzare è stato un conforto, un aiuto, uno stimolo, una fonte di ispirazione. Se aggiungiamo che sono da sempre cristiano, anche se imperfetto, ho trovato in papa Francesco quella conferma di essere sulla strada giusta, una gioia insperata.

Non gli sono state lesinate critiche ed opposizioni, ed anche parole di disprezzo e odio, da tanti che pur si dicono cristiani; non c’è da meravigliarsi: sorte anche peggiore venne riservata a Nostro Signore; d’altra parte ci avvertì che non dovevamo aspettarci consensi universali, anzi, ci mise in guardia dal cercarli. Il messaggio di Cristo è da sempre uno scandalo!

Molti lo hanno rimproverato di badare più alle questioni sociali che a quelle dottrinali, di aver intaccato le certezze della fede per inseguire ideologie eco-social-progressiste; di aver trasformato il tempio sacro di Dio in un “ospedale da campo”.

In realtà stiano tranquilli i “conservatori”; Francesco non ha toccato neanche una virgola della dottrina né dogmatica né morale; ciò che è radicalmente mutato è l’atteggiamento; non aspetto che i lontani si ravvedano e si avvicinino, li vado a cercare, li aiuto, mi mostro loro amico nel concreto; proprio come faceva Gesù.

La sua è stata una rivoluzione pastorale, non dottrinaria. La fede è sempre quella, in Cristo Risorto. Appunto non ha bisogno di un tempio magnificente, ma di un “ospedale da campo”, dove il medico non indaga su chi sei e perché sei ferito: ti cura, e poi ti dice anche cosa fare per non riferirti di nuovo.

Ora che ci ha lasciato mi sento orfano, come quando muore tuo padre: ti senti sperso, triste, ti manca quello che è stato un punto di riferimento, ma orgoglioso di aver potuto usufruire di un tale sostegno; e la certezza che questo sostegno non ti verrà mai meno; oggi la via della nonviolenza evangelica è difficile, il mondo rifiuta quel messaggio, correndo verso l’abisso: l’inferno non come luogo escatologico, ma creato dagli uomini qui su questa terra.

Ma Francesco ci ha lasciato l’ultimo messaggio: La luce ha vinto le tenebre. La verità ha vinto la menzogna. Il perdono ha vinto la vendetta.”  

Con questa certezza continuiamo il nostro impegno, forti a sufficienza per affrontare tutte le difficoltà.

domenica 20 aprile 2025

Pasqua 2025

 

Prorompe anche oggi, come ogni anno, l’annuncio che, per prime, le donne avevano portato, “correndo”,  dice Luca: Cristo è risorto.

La speranza non è vana, la fiducia riposta in Gesù dagli apostoli, così duramente provata il venerdì della passione e morte, non era ingenua, ma ben fondata.

E da allora questo annuncio viene ripetuto a uomini increduli e sbigottiti, spesso distratti, indaffarati nei loro affari, nei loro disegni a volte malvagi, molto spesso semplicemente piccini. Ma tra questi uomini si trova sempre qualcuno che ci crede, e con fede riporta ad altri quell’annuncio: Cristo è risorto.

Un senso di gioia, di allegria, ci prende uscendo da quella chiesa in festa, al termine di una lunga cerimonia, ma risuonante di canti allegri e gioiosi, tanti alleluia ripetuti più volte; per un momento ci riconciliamo col mondo intero.

Eppure se ripensiamo ai guai, ai problemi, piccoli e grandi, che avevamo prima di entrare, essi sono ancora lì.

Allora? Illusione, piccolo effetto di psicosi di massa? Religione consolatoria? Rifugiamoci lì così proviamo a dimenticare i nostri problemi?

C’è chi la pensa così, e magari col sorrisino beffardo, o semplicemente di compatimento ti viene a dire: povero illuso. Ma se avessi invece ragione io a credere, non vi è alcun dubbio, che questo sarebbe meglio anche per l’incredulo.

Ho speso la mia vita a cercare di convincere dubbiosi e increduli, spesso con magri risultati, ma qualcosa mi dice che la mia fede è ben posta, la mia speranza destinata a realizzarsi: Cristo è risorto veramente, e per fortuna c’è chi lo ricorda ogni anno, anzi ogni settimana.

Il mio invito è a dedicare tutti un attimo, anche solo un breve attimo, al significato della Pasqua, proviamo a chiederci: e se fosse tutto vero?

Sì, i nostri problemi attendono comunque di essere risolti, ci penseremo da domani in poi, ma con una speranza in più: la vita ha vinto la morte.

Un caro augurio di Buona Pasqua a tutti.