mercoledì 30 novembre 2016

Perché voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale



1)      Innanzitutto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: a differenza della gran parte di coloro che si sono buttati in questa campagna referendaria, non ritengo che questa riforma della Costituzione sia la fine della democrazia. Molti paesi democratici non hanno il bicameralismo, o hanno una seconda camera molto ridotta nelle funzioni e nell’importanza; non per questo cessano di essere democratici. Se dovessero vincere i SI non ci troveremmo in uno stato autoritario, né si chiuderebbero le porte ad ogni alternativa, non più per lo meno di quanto lo siano chiuse adesso. Avremmo però una situazione in cui chi volesse tentare avventure autoritarie in futuro, avrebbe meno ostacoli di quanti ne ha adesso, avremmo minor partecipazione, e soprattutto una costituzione pasticciata. E ora spiego perché ritengo questo.
2)      Le domande fondamentali a cui ogni impianto istituzionale dovrebbe rispondere sono fondamentalmente due: la prima è come dare rappresentanza ai cittadini nelle istituzioni, ossia la rappresentatività; la seconda è come prendere decisioni, ossia le istituzioni devono essere in grado di esprimere un governo in grado di prendere decisioni e poterle eseguire. Tra le 2 però ritengo della massima importanza la prima: senza rappresentatività non c’è democrazia. Da un po’ di tempo in qua (direi da 30 anni comunque, ricordate il decisionismo di Craxi?) tutto il problema della moderna “ingegneria costituzionale” è centrato sulla governabilità, per cui il problema principale diventa trovare un sistema che permetta di scegliere un governo, il più omogeneo possibile, di un solo partito possibilmente, che poi per 5 anni possa fare quello che vuole senza intoppi e senza discussioni; il tutto a scapito della rappresentatività. E’ ovvio che con un’impostazione di questo genere poi la maggior parte dei cittadini non si riconosca né nei governi, tutti di minoranza, anzi, di ristretta minoranza, né in istituzioni la cui rappresentatività è completamente artefatta. Il problema che si posero i costituenti nel dopoguerra era invece proprio quella della rappresentanza, per questo definirono oltre al bicameralismo, leggi elettorali proporzionali, un numero congruo di deputati, istituirono le regioni, resero elettive le provincie.
3)      E ora veniamo alla nostra riforma costituzionale. Essa va nel senso di rafforzare il governo e diminuire la partecipazione, mentre la legge elettorale rende la nostra una repubblica presidenziale di fatto. Il combinato disposto riforma costituzionale + legge elettorale porta ad una situazione in cui il “popolo” non più sovrano sceglie il suo leader (in italiano “capo”, in latino “dux”) che nei successivi 5 anni avrà un potere senza contrappesi sostanziali; in una situazione di questo genere chi avesse tentazioni autoritarie avrà molti meno ostacoli di quanti non li abbia oggi. In Italia la personalizzazione della politica, il sorgere di ducetti qua e la è un difetto vecchio, che va contrastato e non favorito. Si dice che i poteri del governo non cambiano, ma non è vero: tra le corsie preferenziali e le leggi da approvare a data certa, l’unico soggetto che potrà proporre leggi sarà il governo, la camera si ridurrà ad un organo che potrà approvarle o respingerle senza neanche il tempo per discuterle.
4)      Nei decenni che seguirono l’approvazione della Costituzione si discuteva di come allargare la partecipazione dei cittadini, rendere le istituzioni vicine alla gente; era il tempo in cui nacquero i comitati di quartiere spontanei, poi istituzionalizzati nei consigli di circoscrizione, si criticava la “partitocrazia” proprio perché rendeva difficile la partecipazione se non attraverso il partito; si criticavano le doppie cariche, le sovrapposizioni, alcuni partiti inventarono la “rotazione” proprio per permettere ad un numero maggiore di cittadini di entrare nelle istituzioni, temporaneamente e, soprattutto senza cessare di essere “cittadini”. Da 10, 20 anni il processo sembra essersi invertito e così si aboliscono non le province ma i consigli eletti dal popolo, si concentrano le cariche (sindaci e consiglieri regionali che faranno i senatori), si pretende di diminuire i rappresentanti del popolo con la scusa di combattere la casta (come se non fosse prerogativa di ogni casta, per definizione chiusa, quella di voler limitarne e controllarne l’accesso).
5)      Bilanciamento dei poteri. Altra caratteristica fondamentale di ogni democrazia è che ogni istituzione  viene bilanciata da altre. Così è negli Usa, così è (fino al 4 dicembre e speriamo anche dopo) in Italia; ma se il Presidente della Repubblica, che nomina un terzo della Corte costituzionale, viene eletto da un Parlamento dove una camera, con rappresentanza artefatta per via di una legge elettorale iper-maggioritaria, ha una preponderanza netta (630 a fronte di 100 senatori), tutto ciò farà sì che il partito vincitore delle elezioni, anche se avesse il 30% dei voti, controllerà nel giro di breve tempo presidenza della repubblica e corte costituzionale: e poi dite che non cambia l’equilibrio dei poteri!!!!!
6)      Veniamo al Titolo V quello che regola il rapporto stato – regioni; è vero che la sua modifica del 2001, quando era di moda il federalismo, ha portato tanti problemi e conflitti di competenza, ma ciò non è attribuibile tanto all’aumento dei poteri delle regioni quanto all’indeterminatezza di questi poteri (questo è il risultato di riforme costituzionali fatte male); oggi si risolve il tutto attribuendo tutti i poteri allo stato; non si ripristina semplicemente il testo del ’48! Di fatto le regioni sono completamente svuotate, ridotte come le province, che per altro vengono abolite; vista la loro sostanziale inutilità mi aspetto che fra qualche anno venga chiesto di abolirle definitivamente.
7)      Se i pericoli di accentramento, la diminuzione di partecipazione non ci fossero, sarebbe comunque una riforma da rifiutare perché pasticciata, scritta da incompetenti, frutto di compromessi per ottenere di volta in volta la maggioranza che la votasse. La mia impressione di incompetente (me la son letta tutta, e non è stato facile) varrebbe poco, ma illustri costituzionalisti e giuristi, di ogni tendenza, sostengono proprio questo.
8)      Il metodo. L’ho messo volutamente in fondo perchè i difetti di questa riforma sono tali che da soli giustificano il voto contrario, anche se proprio in fatto di Costituzione il metodo non è affatto di secondaria importanza. Mi pare scontato e non starò qui a ripeterne le ragioni, che una costituzione debba essere condivisa da una larga maggioranza, deve essere la costituzione di tutti e non di una parte, ma qui siamo in presenza di una minoranza, giacché il PD, che insieme ad altri partitini tutti nati dopo le elezioni, è maggioranza alla camera solo grazie ad una legge elettorale anch’essa iper-maggioritaria, ed al senato è ricorso all’apporto di transfughi di altre formazioni politiche; se poi aggiungiamo che anche all’interno del PD questa riforma è stata imposta da una parte (forse) maggioritaria al resto del partito essa è voluta da una minoranza.
9)      Un’ultima considerazione sulle conseguenze del voto del 4 dicembre. Da più parti (la totalità della stampa eccezion fatta per il Fatto e il Manifesto, l’onnipresenza del presidente del Consiglio alle tv tale da far rimpiangere i tempi di Berlusconi, le cosiddette istituzioni finanziarie, confindustria) si fa appello al senso di responsabilità degli elettori perché se dovessero vincere i No l’economia tracollerebbe, le banche fallirebbero, lo spread salirebbe alle stelle, ecc. Si fa leva sul fatto che il fronte del No è un’”accozzaglia” non in grado di costituirsi in maggioranza di governo, che s perde Renzi vien meno la stabilità ecc. Insomma molti, anche in buona fede si chiedono, ma il 5 dicembre cosa succederà? Il referendum però non riguarda il governo o la composizione del Parlamento, ma riguarda la costituzione; la costituzione che uscirà dalle urne ce la terremo per i prossimi 30 o 40 anni; dunque ritengo molto più importante che chiedersi cosa succederà il giorno dopo, cosa succederà nei prossimi anni; se si ritiene che le istituzioni come disegnate dalla riforme siano più democratiche efficienti e coerenti delle attuali è giusto votare Si, siccome io ritengo che saranno meno democratiche (mi si toglie la possibilità di votare per il senato che rimane!), meno efficienti (i contenziosi tra i due rami del parlamento, stato regioni) voterò No, indipendentemente da quello che farà Renzi o Grillo il 5 dicembre.
10)  Per aggiungere un altro punto e fare 10 rispondo alla domanda che già sento: “ma così sei contro il cambiamento, col No tutto rimane come è adesso”. Questa Costituzione è in vigore da 70 anni, ha funzionato bene, ha garantito la democrazia, in questi 70 l’Italia è decisamente migliorata, dunque la cambio solo se mi si propone qualcosa di decisamente e sicuramente meglio e non è questo il caso.