domenica 20 settembre 2020

Perchè NO al referendum di domani

 Dunque di nuovo con un referendum costituzionale, il quarto negli ultimi 20 anni. Degli altri il primo, sulla riforma del titolo V, approvò la riforma; e ne è nato un gran pasticcio. Gli altri 2, quello voluto da Berlusconi e Bossi nel 2006, e quello di Renzi nel 2016, hanno, fortunatamente respinto le riforme proposte. Ed io spero vivamente, anche se temo che accadrà il conrario, che anche questo respinga la miniriforma proposta.

Intendiamoci, non credo proprio che la democrazia sia in pericolo; anche con 1/3 dei parlamentari in meno, la nostra rimarrà una repubblica democratica e le libertà non sono in forse, non per questo per lo meno.

Però sarà una democrazia un pò diversa dall'attuale.

Si sta passando, con un processo che è in corso da decenni, da un sistema in cui gli elettori scelgono i propri rappresentanti e questi si organizzano in partiti, ad uno dove gli elettori saranno chiamati a scegliere i partiti, e questi poi i deputati e senatori. L'effetto della diminuzione dei parlamentari, associato ad una legge elettorale che nega la possibilità di scegliere le persone, sarà quello di rafforzare le segreterie di partito; la rappresentanza sarà sempre meno territoriale e sempre più "globale". 

E' una forma democratica anche questa, ma io preferisco l'altra, quella scelta dai nostri costituenti, che non per niente hanno creato una repubblica parlamentare e non presidenziale.

Altro elemento negativo di questa riforma è che il politico si allontana dai cittadini, e questo proprio mentre si dice che i problemi della politica sono proprio quelli della distanza tra cittadini e propri rappresentanti.

Si fanno parecchi numeri a vanvera ma siccome la matematica non è un'opinione oggi un deputato rappresenta circa 90000 cittadini, rapporto nella media dei paesi democratici europei; dopo la riforma circa 140000. Per il Senato questi numeri raddoppiano. E non ha senso sommare deputati e senatori come se fossero un tutt'uno. Se poco più di 960 parlamentari (630 deputati + 315 senatori eletti + 5 a vita + 1 o 2 ex presidenti, e i non eletti diventeranno più determinanti nel futuro senato) sono troppi, e lo sono, perchè non diminuire, o abolire i senatori, perchè è questa semmai l'anomalia italiana: avere 2 camere esattamente eguali, con identiche funzioni. Si dirà, ma questa riforma era quella voluta da renzi, che gli elettori hanno respinto. Ma questo non è proprio esatto: quella di Renzi sostituiva al senato eletto uno di nominati, ne cambiava le funzioni con una grande confusione, aumentava i poteri del governo, cambiava il Titolo V e ritoccava diversi altri articoli qua e là. E' tutto questo complesso di riforme che gli elettori hanno respinto, non l'abolizione o la differenziazione del senato.

Ma torniamo al referendum di domani. L'idea di punire la "casta" diminuendone i membri è semplicemente assurda. E' proprio di ogni casta rimanere chiusa, con pochi selezionati membri, in modo che i privilegi si dividono tra pochi.

Ai tempi del regime, all'entrata della camera dei fasci e delle corporazioni stava la scritta "qui si lavora, non si fa politica". Ed è questa mentalità sostenuta dalla poderosa corrente antipolitica, che oggi porta a chiedere il taglio dei parlamentari.

Ripeto non sarà il taglio dei parlamentari a rendere il nostro Paese meno liberale, ma non mi piace questa cultura antipolitica e ritengo che il deputato debba poter essere espressione di un territorio tale che si mantenga il legame coi suoi cittadini.

Per queste ragioni domani voterò con convinzione NO


martedì 2 giugno 2020

Frecce tricolori assembramenti e solidarietà



Il 2 giugno si concluderà a Roma il giro d’Italia; non quello dei ciclisti che eravamo abituati a veder sfilare di questi tempi, con gran concorso di folla, sconsigliabile ai nostri giorni; bensì quello delle frecce tricolari, gli aerei  (non i treni!), quelli che fanno le “bravate” acrobatiche, anch’essi però, con gran concorso di folla. Hanno iniziato giovedì scorso 25 giugno qui Torino, e con esse le polemiche sugli assembramenti, che fanno alquanto ridere, perché se tu fai lo spettacolo, poi non puoi lamentarti che la gente accorra a vederlo. Ed in effetti ci chiediamo se questo spettacolo fosse così necessario, in un momento in cui se anche ci sentiamo sollevati perché incominciamo a poter uscire e, soprattutto, si rafforza la speranza che il peggio sia passato, c’è poco da festeggiare. Ci dicono che questo giro sia stato fatto per legare con un nastro tricolore le principali città d’Italia in un vincolo di solidarietà. Siamo i primi ad essere convinti che di solidarietà oggi ce ne sia un gran bisogno, ma di quale solidarietà?

 Innanzitutto permetteteci di notare che di fronte ad una pandemia che colpisce tutto il mondo, dobbiamo veramente sentirci uniti e solidali tutti gli umani: non ci sono nazioni o popoli ognun per sé, ma tutti dobbiamo sentirci partecipi di un destino comune; da questa pandemia se ne uscirà insieme o non se ne uscirà; è un grande sforzo planetario, pacifico (non ci sono guerre da combattere, fronti da spostare, nemici da sconfiggere), in cui veramente dobbiamo sentire che la sorte di ognuno di noi è strettamente legata a quella di tutti gli altri: cinesi, americani, africani che siano. E se qualcosa questa pandemia dovrebbe insegnarci è che è necessaria più solidarietà, che la politica di potenza, la geopolitica degli stati sovrani non porterà da nessuna parte, e troppo si è speso e si spende per garantire una presunta sicurezza dei confini, del proprio stato, del proprio clan, spese del tutto inutili, che hanno solo sottratto risorse a quelle ben più utili per la sanità. Per affrontare e guarire dalla malattia virale occorre trasparenza, diffusione dei risultati delle ricerche e degli studi, abolire i segreti; chi non ha fatto così ha contribuito a rendere più tragica la situazione.

Non sono certo le frecce tricolori che hanno indebolita la lotta al virus, ma ci sembra del tutto inopportuno questa retorica nazionalista e questo giro (tra l’altro un giro molto inquinante e produttore di CO2 che non scordiamocelo, è il grande problema dell’umanità del XXI secolo).

Avremmo preferito gesti che richiamassero una vera solidarietà, innanzitutto la vicinanza a chi non ce l’ha fatta, ai loro cari, ma una gara a proporre e a realizzare azioni che possano rendere la nostra società più vivibile, sostenibile, ecologica; e poi non dimentichiamo la necessità di una solidarietà con chi si trova nelle ristrettezze economiche. Come giustamente si chiede all’Unione Europea uno sforzo  di risorse economiche, e ai Paesi più ricchi di condividere con tutta l’Europa, così vedremo se quando si tratterà di por mano ad una redistribuzione di risorse tra classi sociali, i più abbienti nostrani si comporteranno meglio dei loro “cugini” nord-europei.

Oggi si celebra la festa della Repubblica, un evento massimamente nonviolento: la libera espressione di un popolo attraverso il voto.

Raccogliamo l’invito alla solidarietà del presidente Mattarella e facciamo di questa la parola d’ordine della nuova Italia post pandemia

venerdì 1 maggio 2020

Primo Maggio: non dimentichiamo la festa dei lavoratori


Che strano questo primo maggio, il primo da quando fu indetto nel 1889, senza manifestazioni di piazza.
Innanzitutto un po’ di storia: esso non è nato come una festa o un evento musicale, ma come una giornata di lotta; venne indetto nel 1889 al congresso di fondazione dell’Internazionale socialista come giornata internazionale di lotta per ottenere in tutto il mondo le 8 ore di lavoro giornaliere. Esso fu il primo sciopero internazionale, il primo esempio di mobilitazione planetaria, quando non esistevano i social, le comunicazioni erano limitate e incominciavano a diffondersi i primi telefoni.
Dunque giornata di lotta e mobilitazione che andò oltre la rivendicazione delle 8 ore e si estese ben presto a significare il riscatto dei  lavoratori.
E’ solo in un secondo momento che venne proclamata festa del lavoro (in Italia nel 1947).
Oggi i tempi son cambiati, la “questione operaia” sembra essere passata di moda, l’antagonismo di classe bandito, e la “festa “ del primo maggio una celebrazione ricorrente che assume sempre più i toni di una liturgia da ripetere ogni anno.
Ma è vero che quei problemi son tramontati? Che lo sfruttamento dei lavoratori, l’accumulazione del capitale sulle spalle dei più poveri appartengano ormai alla storia salvo casi sporadici?
Non credo. Certamente nell’Occidente il problema dello sfruttamento non si pone più negli stessi termini di un secolo fa. Quasi tutti gli stati europei riconoscono de jure,  e, sostanzialmente anche de facto, il diritto di sciopero e di associazione sindacale;  abbiamo un “regime” di welfare che bene o male garantisce i diritti minimi dei cittadini. Il fatto è che questi diritti e questo welfare vengono spesso messi in discussione, e sono sempre più frequenti gli interventi legislativi di smantellamento, gabellati come riforme (in realtà si tratta di contro-riforme, come quella che in Italia ha tolto l’art 18 dello statuto dei lavoratori). A questo si aggiunga che il principale strumento per sostenere ilm “welfare” era quello fiscale; attraverso una tassazione fortemente progressiva esso funzionava da redistribuzione parziale del reddito dalle classe più abbienti a quelle più povere, permettendo di finanziare la sanità pubblica, l’istruzione di tutti i giovani, e tutta una serie di altri servizi che lo stato forniva a prezzi ribassati quando non addirittura gratis; oggi questo sistema è in via di smantellamento dappertutto; la tassazione è sempre più “flat” (aliquota unica il contrario della progressività e spostamento del prelievo fiscale dalle tasse dirette, quelle sul reddito, che ognuno paga in proporzione a quanto guadagna, a quelle indirette); di conseguenza i servizi pubblici subiscono tagli sempre più corposi, ridotti al minimo, e spesso privatizzati; le conseguenze di 30 anni di tagli alla sanità e della sua privatizzazione le abbiamo viste chiaramente in questi giorni di emergenza a cui il pur efficiente sistema sanitario italiano non ha saputo rispondere.
Oggi lo sfruttamento passa per altre vie che quella del lavoro salariato in fabbrica: il dato fondamentale è che il capitale, contrariamente a quanto previsto da Marx, può fare meno della “classe operaia”: l’automazione da una parte, e la parcellizzazione di una miriade di lavoretti pagati spesso in nero, di cui i “riders” o i call-center sono 2 esempi significativi, dove non c’è intervento sindacale, diritto di sciopero di fatto abolito, hanno non dico spazzato via, ma di fatto molto ridotto la popolazione operaia. Questo crea un tasso di disoccupazione molto alto, ben aldilà delle cifre pur drammatiche date dagli organi ufficiali, che fa si che un giovane è disposto a lavorare con paghe orarie da fame, senza alcuna garanzia per il futuro, e  senza prospettiva di pensione futura, rischi per la sua salute ed incolumità. Questo non è sfruttamento? Se poi ampliassimo lo sguardo al mondo non occidentale, quello che una volta si chiamava “Terzo mondo”, allora vediamo che lì non esiste spesso diritto di sciopero, men che meno di associazione sindacale, il welfare del tutto inesistente, i ritmi di lavoro del tutto paragonabili a quelli di 100 anni fa; e guarda caso è lì che si sta spostando il grosso dell’attività manifatturiera.
Oggi si aggiungono i problemi di questa pandemia da Covid19 con tutti gli annessi e connessi: ulteriore spinta all’automazione, spostamento di gran parte del lavoro intellettuale a casa ( e state tranquilli che da casa si lavora di più che in ufficio, perché a quel punto tutto diventa “a cottimo”). Potrà sembrare un dettaglio in un momento in cui la maggior parte della gente ha paura del contagio, ma questo obbligo di stare a casa, con conseguente impossibilità di manifestare, che si protrarrà nel tempo non si sa bene quanto, sposta ulteriormente la bilancia del potere da una parte.
Occorrerà vigilare a che l’emergenza non diventi  permanente, occorre riprendere le motivazioni del Primo maggio, giacchè la diseguaglianza tra classi sociali, che esistono eccome, e tra regioni del mondo è una delle grandi crisi che abbiamo di fronte, l’altra essendo quella ecologica.
Anche se costretti a casa, ricordiamo il Primo maggio, festeggiamolo rimettendo in primo piano i problemi del mondo del lavoro, per essere pronti a “continuare” l’impegno per un mondo più equo, più rispettoso dell’ambiente e della dignità umana.
La pandemia, che tanti danni sta facendo, in un modo o nell’altro passerà, le altre crisi citate sono invece strutturali e non passeranno se non si cambierà radicalmente il modello di società.