mercoledì 29 ottobre 2025

Dalla Flotilla all’Arca: testo del mio intervento

 


Non finiremo mai di ringraziare abbastanza i protagonisti delle flotille, che con coraggio, mettendo in gioco se stessi, le proprie persone, i propri corpi, hanno scritto un pezzo di storia, hanno sfidato l’arroganza e la prepotenza degli aggressori, mettendo in crisi non solo questi ultimi, ma anche i loro troppo numerosi sostenitori.

No, non sto esagerando, è un pezzo di storia! Di storia della nonviolenza, dell’azione nonviolenta, da aggiungere ai tanti casi che ne dimostrano l’efficacia.

Da circa 50 anni studio, mi attivo, mi impegno per la nonviolenza; spesso ho tenuto seminari e incontri di formazione su cosa è, sulle caratteristiche di una azione nonviolenta. Ebbene, questa della flotilla è un caso da manuale.

Un fine immediato: portare aiuti umanitari, cibo, medicine, generi di prima necessità, nulla che potesse essere usato come arma; un fine più generale: rompere il blocco, mettere in evidenza l’illegalità, l’ingiustizia di un assedio che dura da anni, dal 2009, 16 anni prima del 7 ottobre 2023.

Forzarlo con una “marcia di mare” nonviolenta, da persone addestratesi prima. Farlo senza sotterfugi, dando comunicazione a tutto il mondo permettendone le verifiche, alla luce del sole; altri hanno agito nelle tenebre, con le aggressioni “anonime” prima, gli abbordaggi di notte dopo, i maltrattamenti nel chiuso delle loro prigioni.

E il tutto portandosi dietro giornalisti, fotografi che tutto il mondo possa vedere. E fa specie vedere queste piccole barche a vela, affrontate dai più moderni mezzi militari, gli attivisti disarmati, seduti, con i soli giubbotti salvagente di fronte ai militari che sembravano robocop, perdendo anche visivamente la forma umana.

E il mondo ha visto, e si è sollevato, suscitando una ondata di manifestazioni, pacifiche e senza violenze, nonostante gli sforzi della propaganda di andare a cercare l’incidente, lo striscione sbagliato (fischiato e fatto riarrotolare dai manifestanti).

Questo movimento ha avuto un’influenza determinante (lo ammettono molti analisti geopolitici, non solo noi nonviolenti) nel raggiungere quel finto accordo di tregua, che se anche viene quotidianamente violata, almeno ha fermato il massacro in corso.

E va sottolineato, anche agli amici palestinesi esasperati, che l’azione nonviolenta della flotilla ha fatto per la causa palestinese più di tante azioni armate, che ad oggi hanno solo peggiorato la situazione di quel popolo.

Occorre sostenere queste azioni, far sì che possano essere efficaci; dovrebbero rendersene conto istituzioni e governi e tutti quelli che parlano, spesso a vanvera, di pace; questo è il modo migliore per combattere violenza e terrorismo e favorire un clima di pace.

Soltanto attraverso azioni di questo genere sarà possibile ottenere consenso anche tra gli israeliani, e molti, anche se minoritari lo hanno già mostrato; di questo consenso ce ne è un grande bisogno perché è chiaro che qualsiasi via di pace e riconciliazione non sarà percorribile fintanto che Netanyahu e i suoi partiti saranno al governo, e Hamas potrà essere accreditata come unica rappresentante dei Palestinesi. I “signori della guerra” si sostengono a vicenda, mentre i popoli si massacrano!

Il tema centrale resta quello del futuro di quella terra martoriata.

Senza una riconciliazione tra i 2 popoli (in realtà ne esistono più di 2, per di più divisi tra loro) non ci sarà pace.

E nessuna soluzione - 2 stati, 1 stato laico solo, confederazione quant’altro - funzionerà mai senza un processo di riconciliazione.

Oggi può sembrare un’utopia; anche quando si facevano le campagne contro l’apartheid in Sudafrica si temeva il caos e le vendette che sarebbero seguite, e i più dicevano impossibile una convivenza pacifica, eppure la riconciliazione c’è stata, pur tra difficoltà.

E che dire della nostra storia europea, per secoli le rivalità europee hanno insanguinato l’Europa, scatenando 2 guerre mondiali, una peggiore dell’altra, e dopo i massacri della seconda chi avrebbe potuto frenare le vendette? Oggi nulla è più lontano dalla realtà che una guerra intereuropea, per ora (e speriamo per sempre!).

Il problema è che occorrono leadership che ci credano; soprattutto occorre un’operazione di riconciliazione dal basso, in cui le vittime riconoscano reciprocamente il dolore altrui.

Esistono associazioni in Israele/Palestina, comunità gruppi che per quello operano: Combatants for peace, Parents circle, Nevè Shalom, Women wage peace, e tante altre.[1]

Nostro compito è valorizzare queste esperienze, sostenere queste associazioni, farle conoscere, raccontare le loro storie, coinvolgere in quest’opera di riconciliazione i membri della diaspora palestinese ed ebraica da noi presenti.

Noi crediamo, ed io in particolare che faccio parte di una associazione sostanzialmente interreligiosa, il MIR, che ha fatto della ricerca della nonviolenza nella propria tradizione religiosa il suo scopo principale, nata proprio all’inizio del primo conflitto mondiale per riconciliare i popoli che si volevano nemici, noi crediamo appunto, che le religioni che spesso vengono prese a pretesto per giustificare l’odio, la violenza, la guerra, contengano in sé un messaggio di amore e di pace, che può e che deve diventare la base di una storia diversa.

E se umanamente e razionalmente ci viene detto che è impossibile, beh, stavolta lo diciamo noi, certi di essere nel giusto, che Dio, comunque lo si chiami, ci darà una mano.

 

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