domenica 11 dicembre 2016

Ci stiamo avvicinando al Natale, memoria della nascita di Gesù, occasione di riflessioni  spirituali, ma anche di feste, e soprattutto di regali da fare ad amici e  persone care.


Che cosa di meglio che regalare un bel libro?

Noi ne abbiamo uno da suggerire: “Guerra Pace Nonviolenza - 50 anni di storia e impegno”, edito dalle Paoline. I 50 anni del sottotitolo sono quelli dal Concilio; in questo libro parliamo infatti del progressivo avvicinamento della chiesa alla Nonviolenza, partendo proprio dall'impegno di alcuni credenti, convinti che la Nonviolenza fosse la via da proporre per il mondo di allora (e  di oggi), che in occasione del concilio proposero alla chiesa di assumere come propria.
Viene poi ripercorsa la storia di singoli, movimenti, associazioni nel rapporto, non sempre facile con la Chiesa cattolica nonchè con quelle riformate che ha portato dalla contestazione della teoria della guerra giusta all’affermazione di quella della “pace giusta”.
E’ di questi giorni il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della pace 2017 dedicata alla “La non violenza: stile di una politica per la pace”, importante riconoscimento di come la nonviolenza, lungi dall’essere un sogno di anime belle sia la più ragionevole e pragmatica via per la pace. Ebbene noi raccontiamo il percorso che ci ha portato qui.

Con tanti auguri di Buon Natale a tutti


Paolo Candelari                                                              Ilaria Ciriaci
Email paolocand@gmail.com                                         Email: ilariaciriaci@libero.it     



Il libro può essere trovato nelle librerie Paoline, e in diverse altre librerie, ordinato via internet sulle più note piattaforme (oltre che le Paoline, Feltrinelli, Ibs, amazon) o richiesto a noi 

mercoledì 30 novembre 2016

Perché voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale



1)      Innanzitutto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: a differenza della gran parte di coloro che si sono buttati in questa campagna referendaria, non ritengo che questa riforma della Costituzione sia la fine della democrazia. Molti paesi democratici non hanno il bicameralismo, o hanno una seconda camera molto ridotta nelle funzioni e nell’importanza; non per questo cessano di essere democratici. Se dovessero vincere i SI non ci troveremmo in uno stato autoritario, né si chiuderebbero le porte ad ogni alternativa, non più per lo meno di quanto lo siano chiuse adesso. Avremmo però una situazione in cui chi volesse tentare avventure autoritarie in futuro, avrebbe meno ostacoli di quanti ne ha adesso, avremmo minor partecipazione, e soprattutto una costituzione pasticciata. E ora spiego perché ritengo questo.
2)      Le domande fondamentali a cui ogni impianto istituzionale dovrebbe rispondere sono fondamentalmente due: la prima è come dare rappresentanza ai cittadini nelle istituzioni, ossia la rappresentatività; la seconda è come prendere decisioni, ossia le istituzioni devono essere in grado di esprimere un governo in grado di prendere decisioni e poterle eseguire. Tra le 2 però ritengo della massima importanza la prima: senza rappresentatività non c’è democrazia. Da un po’ di tempo in qua (direi da 30 anni comunque, ricordate il decisionismo di Craxi?) tutto il problema della moderna “ingegneria costituzionale” è centrato sulla governabilità, per cui il problema principale diventa trovare un sistema che permetta di scegliere un governo, il più omogeneo possibile, di un solo partito possibilmente, che poi per 5 anni possa fare quello che vuole senza intoppi e senza discussioni; il tutto a scapito della rappresentatività. E’ ovvio che con un’impostazione di questo genere poi la maggior parte dei cittadini non si riconosca né nei governi, tutti di minoranza, anzi, di ristretta minoranza, né in istituzioni la cui rappresentatività è completamente artefatta. Il problema che si posero i costituenti nel dopoguerra era invece proprio quella della rappresentanza, per questo definirono oltre al bicameralismo, leggi elettorali proporzionali, un numero congruo di deputati, istituirono le regioni, resero elettive le provincie.
3)      E ora veniamo alla nostra riforma costituzionale. Essa va nel senso di rafforzare il governo e diminuire la partecipazione, mentre la legge elettorale rende la nostra una repubblica presidenziale di fatto. Il combinato disposto riforma costituzionale + legge elettorale porta ad una situazione in cui il “popolo” non più sovrano sceglie il suo leader (in italiano “capo”, in latino “dux”) che nei successivi 5 anni avrà un potere senza contrappesi sostanziali; in una situazione di questo genere chi avesse tentazioni autoritarie avrà molti meno ostacoli di quanti non li abbia oggi. In Italia la personalizzazione della politica, il sorgere di ducetti qua e la è un difetto vecchio, che va contrastato e non favorito. Si dice che i poteri del governo non cambiano, ma non è vero: tra le corsie preferenziali e le leggi da approvare a data certa, l’unico soggetto che potrà proporre leggi sarà il governo, la camera si ridurrà ad un organo che potrà approvarle o respingerle senza neanche il tempo per discuterle.
4)      Nei decenni che seguirono l’approvazione della Costituzione si discuteva di come allargare la partecipazione dei cittadini, rendere le istituzioni vicine alla gente; era il tempo in cui nacquero i comitati di quartiere spontanei, poi istituzionalizzati nei consigli di circoscrizione, si criticava la “partitocrazia” proprio perché rendeva difficile la partecipazione se non attraverso il partito; si criticavano le doppie cariche, le sovrapposizioni, alcuni partiti inventarono la “rotazione” proprio per permettere ad un numero maggiore di cittadini di entrare nelle istituzioni, temporaneamente e, soprattutto senza cessare di essere “cittadini”. Da 10, 20 anni il processo sembra essersi invertito e così si aboliscono non le province ma i consigli eletti dal popolo, si concentrano le cariche (sindaci e consiglieri regionali che faranno i senatori), si pretende di diminuire i rappresentanti del popolo con la scusa di combattere la casta (come se non fosse prerogativa di ogni casta, per definizione chiusa, quella di voler limitarne e controllarne l’accesso).
5)      Bilanciamento dei poteri. Altra caratteristica fondamentale di ogni democrazia è che ogni istituzione  viene bilanciata da altre. Così è negli Usa, così è (fino al 4 dicembre e speriamo anche dopo) in Italia; ma se il Presidente della Repubblica, che nomina un terzo della Corte costituzionale, viene eletto da un Parlamento dove una camera, con rappresentanza artefatta per via di una legge elettorale iper-maggioritaria, ha una preponderanza netta (630 a fronte di 100 senatori), tutto ciò farà sì che il partito vincitore delle elezioni, anche se avesse il 30% dei voti, controllerà nel giro di breve tempo presidenza della repubblica e corte costituzionale: e poi dite che non cambia l’equilibrio dei poteri!!!!!
6)      Veniamo al Titolo V quello che regola il rapporto stato – regioni; è vero che la sua modifica del 2001, quando era di moda il federalismo, ha portato tanti problemi e conflitti di competenza, ma ciò non è attribuibile tanto all’aumento dei poteri delle regioni quanto all’indeterminatezza di questi poteri (questo è il risultato di riforme costituzionali fatte male); oggi si risolve il tutto attribuendo tutti i poteri allo stato; non si ripristina semplicemente il testo del ’48! Di fatto le regioni sono completamente svuotate, ridotte come le province, che per altro vengono abolite; vista la loro sostanziale inutilità mi aspetto che fra qualche anno venga chiesto di abolirle definitivamente.
7)      Se i pericoli di accentramento, la diminuzione di partecipazione non ci fossero, sarebbe comunque una riforma da rifiutare perché pasticciata, scritta da incompetenti, frutto di compromessi per ottenere di volta in volta la maggioranza che la votasse. La mia impressione di incompetente (me la son letta tutta, e non è stato facile) varrebbe poco, ma illustri costituzionalisti e giuristi, di ogni tendenza, sostengono proprio questo.
8)      Il metodo. L’ho messo volutamente in fondo perchè i difetti di questa riforma sono tali che da soli giustificano il voto contrario, anche se proprio in fatto di Costituzione il metodo non è affatto di secondaria importanza. Mi pare scontato e non starò qui a ripeterne le ragioni, che una costituzione debba essere condivisa da una larga maggioranza, deve essere la costituzione di tutti e non di una parte, ma qui siamo in presenza di una minoranza, giacché il PD, che insieme ad altri partitini tutti nati dopo le elezioni, è maggioranza alla camera solo grazie ad una legge elettorale anch’essa iper-maggioritaria, ed al senato è ricorso all’apporto di transfughi di altre formazioni politiche; se poi aggiungiamo che anche all’interno del PD questa riforma è stata imposta da una parte (forse) maggioritaria al resto del partito essa è voluta da una minoranza.
9)      Un’ultima considerazione sulle conseguenze del voto del 4 dicembre. Da più parti (la totalità della stampa eccezion fatta per il Fatto e il Manifesto, l’onnipresenza del presidente del Consiglio alle tv tale da far rimpiangere i tempi di Berlusconi, le cosiddette istituzioni finanziarie, confindustria) si fa appello al senso di responsabilità degli elettori perché se dovessero vincere i No l’economia tracollerebbe, le banche fallirebbero, lo spread salirebbe alle stelle, ecc. Si fa leva sul fatto che il fronte del No è un’”accozzaglia” non in grado di costituirsi in maggioranza di governo, che s perde Renzi vien meno la stabilità ecc. Insomma molti, anche in buona fede si chiedono, ma il 5 dicembre cosa succederà? Il referendum però non riguarda il governo o la composizione del Parlamento, ma riguarda la costituzione; la costituzione che uscirà dalle urne ce la terremo per i prossimi 30 o 40 anni; dunque ritengo molto più importante che chiedersi cosa succederà il giorno dopo, cosa succederà nei prossimi anni; se si ritiene che le istituzioni come disegnate dalla riforme siano più democratiche efficienti e coerenti delle attuali è giusto votare Si, siccome io ritengo che saranno meno democratiche (mi si toglie la possibilità di votare per il senato che rimane!), meno efficienti (i contenziosi tra i due rami del parlamento, stato regioni) voterò No, indipendentemente da quello che farà Renzi o Grillo il 5 dicembre.
10)  Per aggiungere un altro punto e fare 10 rispondo alla domanda che già sento: “ma così sei contro il cambiamento, col No tutto rimane come è adesso”. Questa Costituzione è in vigore da 70 anni, ha funzionato bene, ha garantito la democrazia, in questi 70 l’Italia è decisamente migliorata, dunque la cambio solo se mi si propone qualcosa di decisamente e sicuramente meglio e non è questo il caso.

mercoledì 6 luglio 2016

24-30 luglio campo MIR-MN su nonviolenza e cristianesimo

Nella settimana dal 24 al 30 luglio prossimi si terrà a Burolo presso Ivrea (TO) un campo dedicato al tema dei rapporti tra i movimenti nonviolenti e le chiese dal Concilio sino ad oggi.
Il campo avrà come titolo “La pratica della nonviolenza” e fa parte di quelli proposti dal MIR- Movimento Nonviolento piemontese ( v. libretto campi estivi).
 

In esso tratteremo della posizione dei nonviolenti cristiani, inizialmente emarginati nella chiesa, poi in dialogo coi vescovi conciliari, delle loro posizioni su obiezione di coscienza e nonviolenza evangelica, ripercorreremo le loro azioni, incontri, digiuni seguendo la traccia del libro che abbiamo scritto io e Ilaria Ciriaci “Guerra Pace Nonviolenza” edito dalle Paoline (v. presentazione "Guerra Pace Nonviolenza"
 

Ripercorreremo la storia di questi 50 anni in cui è nato e si sviluppato un vero e proprio movimento cristiano per la pace, fino ad arrivare alle recenti posizioni sulla pace giusta del Consiglio ecumenico delle chiese e della Chiesa cattolica.
Ma non sarà solo uno studio storico; faremo dei giochi di ruolo e una parte in cui metteremo a confronto le possibilità della nonviolenza oggi.
 

Il campo si svolgerà presso la comunità ACF (Associazione Comunità e famiglia) di Burolo (v. sito della comunità), l’accoglienza sarà la domenica 24 sera, le partenze il sabato 30 mattina
 

Il campo si suddividerà in 3 moduli:
- dalla guerra giusta alla pace giusta
- i movimenti nonviolenti e i rapporti con le chiese
- la scelta della nonviolenza oggi
 

Se siete interessati non esitate a contattare i coordinatori o me
Eugenio Cantore, 320 66 67 261 eugeniocantore@libero.it
Elena Zanolli 347 75 95 589 elena.zeta@libero.it
Paolo Candelari 338 5920901 paolocand@gmail.com


Le iscrizioni vanno comunicate entro il 9 luglio

giovedì 2 giugno 2016

2 giugno 2016: 70 anni di repubblica democratica.



E’ strano che in un periodo come il nostro in cui c’è una corsa all’anniversario da celebrare, il 70esimo della Repubblica passi sostanzialmente inosservato, ricordato per la “prima volta” del voto alle donne, evento certamente importante, ma dimenticato per l’evento fondante del nostro Stato.
Mi verrebbe da dire polemicamente: certo!, dal momento che questa Repubblica, “nata dalla Resistenza”, come si diceva in tempi ormai lontani, sia cronologicamente che moralmente, la si vuol cambiare perché vecchia, obsoleta, ecc, è inutile starla troppo a celebrare.
E invece per me, e per molti ancora legati ai valori della democrazia più genuina “il governo del popolo per il popolo”, quella data riveste un significato particolarmente importante, una data da segnare, non solo come ricordo di un passato, tanto per celebrare, ma come impegno da rinnovare.
Due sono le considerazioni che mi vengono in mente:

1 – il 2 giugno è la data di una consultazione popolare, in cui i cittadini hanno scelto, in maniera pacifica, di fondare la repubblica. Contemporaneamente si è svolta l’elezione dell’assemblea costituente. Dunque non una guerra, una battaglia, neanche una sommossa, né trattative diplomatiche, hanno determinato la nascita della repubblica. Un fatto che andrebbe sottolineato: il nostro Stato ha all’origine un atto non violento, anzi uno dei principali atti nonviolenti, come sosteneva don Milani, che nella sua famosa lettera ai giudici sosteneva che due erano gli strumenti “nonviolenti” a disposizione del popolo: il voto e lo sciopero. E’ vero che quel referendum era stato reso possibile dalla cadute delle dittature nazi-fasciste in Europa, avvenuta grazie ad una lunga e sanguinosa guerra, e ad una Resistenza pur sempre armata. Ma va sottolineato che mentre la guerra può distruggere, la mobilitazione pacifica e senza armi serve a costruire. In questo contesto non si capisce cosa c’entri la “parata militare”, questa ricerca a tutti i costi di un ruolo per l’esercito, che storicamente non ha avuto. E per questo la data del 2 giugno andrebbe benissimo come festa popolare nonviolenta, delle forze nonviolente di pace, anziché militare.

2- la seconda considerazione riguarda proprio l’altro aspetto della fondazione della repubblica: l’elezione libera di coloro che hanno scritto la Costituzione. Non dimentichiamo che nell’assemblea costituente erano rappresentate forze politiche molto diverse tra loro, che facevano riferimento a ideologie antitetiche le une alle altre: eppure sono riuscite ad elaborare una sintesi positiva, un risultato in cui ognuna delle 3 ideologie allora presenti (social-comunista, cattolica democratica, liberale) ha messo il meglio, con un risultato di gran lunga migliore di quello che avrebbe potuto dare ciascuna di esse presa singolarmente. La nostra Costituzione non è semplicemente una struttura dello Stato, una ratifica dell’esistente, ma ha un risvolto programmatico, laddove, soprattutto nella prima parte, da indicazioni delle azioni da intraprendere per realizzare una situazione che essa prefigura, ma che neanche oggi è completamente realizzata.
Oggi, anziché proseguire applicando quelle indicazioni, la si vuole modificare: il problema, intendiamoci, non sta nel fatto che vengano proposte modifiche: nessuna Costituzione, nessuna legge è immodificabile. E’ il contesto politico-culturale che sta attorno a questi tentativi di modifica che non va. E’ proprio quello Stato sociale, prefigurato dalla Costituzione, che si vuol modificare profondamente; la nostra come anche altre Costituzioni sono state definite obsolete proprio perché ostacolano quell’affermarsi del liberismo selvaggio che è diventata la religione assoluta di un’Europa mai così priva di religioni e di valori come adesso. E dunque via tutti i “lacci e lacciuoli” che rendono poco fluido lo strapotere dei “rappresentanti” del mercato, da sostituire a quelli del popolo. L’esercizio della democrazia, la necessità di raggiungere nuovi e migliori sintesi, diventa un ostacolo da rimuovere.

In conclusione dovremmo ricordarci che le conquiste sociali e democratiche non sono mai date una volta per tutte, ma vanno continuamente difese, ed oggi sono in pericolo.
L’impegno politico del futuro dovrebbe essere per difendere ed allargare quei diritti e quelle condizioni che i costituenti hanno posto alla base della nostra repubblica.
Dunque più stato sociale per realizzare una maggiore giustizia economica e difesa nonviolenta al posto del riarmo in corso; questa è la nostra festa della repubblica; l’opposto di dove ci sta portando l’attuale classe politico-economica!

(articolo pubblicato sul sito del Centro Sereno Regis l'1 giugno 2016 vedi qui

giovedì 26 maggio 2016

Sulle elezioni austriache del 22 maggio 2016



Dunque il verde Alexander  Van der Bellen ce l’ha fatta; per ora l’Europa “è salva”: per il “rotto della cuffia” come si suol dire: poco più di 31000 voti il distacco che lo separa dal leader della destra xenofoba e populista, meno dell’1% di quanti hanno votato.
Non mi unirò però a chi festeggia e fa salti di gioia per questa vittoria, proprio perché non penso si possa parlare di vittoria; che un popolo come quello austriaco sia disposto per metà a sostenere le tesi che qui sono sostenute dai  Salvini e Borghezio, penso sia un fatto molto grave su cui val la pena di meditare. L’Europa è in crisi, questo lo stanno ripetendo tutti, ma quello che è stucchevole è che la classe politica dirigente attuale non sembra rendersene conto; o meglio non hanno nessuna proposta per rimediare o superare questa crisi, continuando testardamente in scelte politiche, economiche, sociali che si sono ampiamente mostrate in capaci di uscire da questa crisi, quando non sono all’origine della stessa.
La crisi non è dovuta solo, e, secondo me, neanche principalmente, all’arrivo dei “migranti” o “profughi” come sarebbe più corretto definirli; la crisi è soprattutto economico-sociale, culturale poi; le classi medio-basse si sono impoverite negli ultimi 15 anni, dopo decenni di miglioramenti; l’economia sembra essersi inceppata, provocando un alto tasso di disoccupazione, un’intera generazione di giovani si trova in difficoltà e al momento vive soprattutto grazie ai grossi risparmi accumulati dalle famiglie (fino a quando questo sarà possibile?). C’è da meravigliarsi se in tale situazione prosperano e si ingrandiscono movimenti e partiti di “opposizione”? La sottile distinzione tra politiche perseguite dalle attuali classi dirigenti dell’UE, che potrebbero anche essere cambiate, e esistenza dell’UE stessa non è alla portata delle grandi masse attuali, del tutto spoliticizzate, tra l’altro. Ora è tipico di momenti di gravi difficoltà sociali trovare “capri espiatori” a cui addossare tutte le responsabilità; l’aumento del flusso dei “migranti” pone certamente problemi di accoglienza, anche se il fenomeno andrebbe ridimensionato alle sue dimensioni reali; ma questo poi viene visto, e presentato, come il problema insolubile, dunque niente di più semplice che scatenare la rabbia del “popolino” contro la “minoranza” di turno responsabile della mancanza di lavoro, del taglio delle spese sociali, del terrorismo, della delinquenza e dell’insoddisfazione esistenziale della gente. In questo marasma chi propone le soluzioni più semplici, anzi, tanto più semplici quanto più impossibili  a realizzarsi, ha maggiore ascolto. L’economia va male? Colpa dell’euro: basta uscirne. Ci sono troppi migranti? Non facciamoli entrare. Inoltre manca una seria proposta alternativa a questa situazione, manca del tutto un movimento popolare (unico vero antidoto al “populismo”); chi protesta, chi si vuole oppore, quali soluzioni ha quando si trova in cabina elettorale?
E’ significativo che in Austria l’unica alternativa all’avanzata della destra è stata un candidato verde, attualmente all’opposizione, fuori dalla classe politica tradizionale.  E dire che ben poco si è detto proprio sul tracollo di quelli che sono i rappresentanti delle due forze politiche che guidano l’Europa, che sono al potere o insieme, o in una finta opposizione reciproca, nella maggior parte d’Europa: popolari e socialdemocratici.
Poiché non vedo al momento soluzione ai problemi sopracitati, nonostante la vittoria in Austria, non sono per nulla ottimista. I populismi di destra stanno avanzando dovunque; fra un anno ci sono le elezioni politiche in Austria, e quei 30000 voti di differenza potrebbero ribaltarsi, poi avremo le presidenziali in Francia, mentre la destra populista è già al potere in Ungheria e Polonia.
Insomma l’Europa non è per nulla salva. Le forze che si oppongono all’establishment attuale dovrebbero coordinarsi maggiormente, e proporre un programma globale alternativo credibile, ma si può ragionevolmente sperare che verdi, podemos, siryza, M5S e simili si troveranno mai insieme? Non rispondo per non cadere in depressione, ma rimane il gridolasciatoci da un vecchi partigiano francese: Indignatevi!
 È l’unica speranza di salvezza.