Che strano questo primo maggio, il primo da quando fu
indetto nel 1889, senza manifestazioni di piazza.
Innanzitutto un po’ di storia: esso non è nato come una
festa o un evento musicale, ma come una giornata di lotta; venne indetto nel
1889 al congresso di fondazione dell’Internazionale socialista come giornata
internazionale di lotta per ottenere in tutto il mondo le 8 ore di lavoro
giornaliere. Esso fu il primo sciopero internazionale, il primo esempio di
mobilitazione planetaria, quando non esistevano i social, le comunicazioni
erano limitate e incominciavano a diffondersi i primi telefoni.
Dunque giornata di lotta e mobilitazione che andò oltre la
rivendicazione delle 8 ore e si estese ben presto a significare il riscatto dei
lavoratori.
E’ solo in un secondo momento che venne proclamata festa del
lavoro (in Italia nel 1947).
Oggi i tempi son cambiati, la “questione operaia” sembra
essere passata di moda, l’antagonismo di classe bandito, e la “festa “ del
primo maggio una celebrazione ricorrente che assume sempre più i toni di una
liturgia da ripetere ogni anno.
Ma è vero che quei problemi son tramontati? Che lo
sfruttamento dei lavoratori, l’accumulazione del capitale sulle spalle dei più
poveri appartengano ormai alla storia salvo casi sporadici?
Non credo. Certamente nell’Occidente il problema dello
sfruttamento non si pone più negli stessi termini di un secolo fa. Quasi tutti
gli stati europei riconoscono de jure,
e, sostanzialmente anche de facto, il diritto di sciopero e di
associazione sindacale; abbiamo un
“regime” di welfare che bene o male garantisce i diritti minimi dei cittadini.
Il fatto è che questi diritti e questo welfare vengono spesso messi in
discussione, e sono sempre più frequenti gli interventi legislativi di
smantellamento, gabellati come riforme (in realtà si tratta di contro-riforme,
come quella che in Italia ha tolto l’art 18 dello statuto dei lavoratori). A
questo si aggiunga che il principale strumento per sostenere ilm “welfare” era
quello fiscale; attraverso una tassazione fortemente progressiva esso
funzionava da redistribuzione parziale del reddito dalle classe più abbienti a
quelle più povere, permettendo di finanziare la sanità pubblica, l’istruzione di
tutti i giovani, e tutta una serie di altri servizi che lo stato forniva a
prezzi ribassati quando non addirittura gratis; oggi questo sistema è in via di
smantellamento dappertutto; la tassazione è sempre più “flat” (aliquota unica
il contrario della progressività e spostamento del prelievo fiscale dalle tasse
dirette, quelle sul reddito, che ognuno paga in proporzione a quanto guadagna,
a quelle indirette); di conseguenza i servizi pubblici subiscono tagli sempre
più corposi, ridotti al minimo, e spesso privatizzati; le conseguenze di 30
anni di tagli alla sanità e della sua privatizzazione le abbiamo viste
chiaramente in questi giorni di emergenza a cui il pur efficiente sistema
sanitario italiano non ha saputo rispondere.
Oggi lo sfruttamento passa per altre vie che quella del
lavoro salariato in fabbrica: il dato fondamentale è che il capitale,
contrariamente a quanto previsto da Marx, può fare meno della “classe operaia”:
l’automazione da una parte, e la parcellizzazione di una miriade di lavoretti
pagati spesso in nero, di cui i “riders” o i call-center sono 2 esempi
significativi, dove non c’è intervento sindacale, diritto di sciopero di fatto
abolito, hanno non dico spazzato via, ma di fatto molto ridotto la popolazione
operaia. Questo crea un tasso di disoccupazione molto alto, ben aldilà delle
cifre pur drammatiche date dagli organi ufficiali, che fa si che un giovane è
disposto a lavorare con paghe orarie da fame, senza alcuna garanzia per il
futuro, e senza prospettiva di pensione
futura, rischi per la sua salute ed incolumità. Questo non è sfruttamento? Se
poi ampliassimo lo sguardo al mondo non occidentale, quello che una volta si
chiamava “Terzo mondo”, allora vediamo che lì non esiste spesso diritto di
sciopero, men che meno di associazione sindacale, il welfare del tutto
inesistente, i ritmi di lavoro del tutto paragonabili a quelli di 100 anni fa;
e guarda caso è lì che si sta spostando il grosso dell’attività manifatturiera.
Oggi si aggiungono i problemi di questa pandemia da Covid19
con tutti gli annessi e connessi: ulteriore spinta all’automazione, spostamento
di gran parte del lavoro intellettuale a casa ( e state tranquilli che da casa
si lavora di più che in ufficio, perché a quel punto tutto diventa “a
cottimo”). Potrà sembrare un dettaglio in un momento in cui la maggior parte
della gente ha paura del contagio, ma questo obbligo di stare a casa, con
conseguente impossibilità di manifestare, che si protrarrà nel tempo non si sa
bene quanto, sposta ulteriormente la bilancia del potere da una parte.
Occorrerà vigilare a che l’emergenza non diventi permanente, occorre riprendere le motivazioni
del Primo maggio, giacchè la diseguaglianza tra classi sociali, che esistono
eccome, e tra regioni del mondo è una delle grandi crisi che abbiamo di fronte,
l’altra essendo quella ecologica.
Anche se costretti a casa, ricordiamo il Primo maggio,
festeggiamolo rimettendo in primo piano i problemi del mondo del lavoro, per essere
pronti a “continuare” l’impegno per un mondo più equo, più rispettoso
dell’ambiente e della dignità umana.
La pandemia, che tanti danni sta facendo, in un modo o
nell’altro passerà, le altre crisi citate sono invece strutturali e non
passeranno se non si cambierà radicalmente il modello di società.