1)
Innanzitutto vorrei sgombrare il campo da un
equivoco: a differenza della gran parte di coloro che si sono buttati in questa
campagna referendaria, non ritengo che questa riforma della Costituzione sia la
fine della democrazia. Molti paesi democratici non hanno il bicameralismo, o
hanno una seconda camera molto ridotta nelle funzioni e nell’importanza; non
per questo cessano di essere democratici. Se dovessero vincere i SI non ci
troveremmo in uno stato autoritario, né si chiuderebbero le porte ad ogni alternativa,
non più per lo meno di quanto lo siano chiuse adesso. Avremmo però una
situazione in cui chi volesse tentare avventure autoritarie in futuro, avrebbe
meno ostacoli di quanti ne ha adesso, avremmo minor partecipazione, e
soprattutto una costituzione pasticciata. E ora spiego perché ritengo questo.
2)
Le domande fondamentali a cui ogni impianto
istituzionale dovrebbe rispondere sono fondamentalmente due: la prima è come
dare rappresentanza ai cittadini nelle istituzioni, ossia la rappresentatività;
la seconda è come prendere decisioni, ossia le istituzioni devono essere in
grado di esprimere un governo in grado di prendere decisioni e poterle
eseguire. Tra le 2 però ritengo della massima importanza la prima: senza
rappresentatività non c’è democrazia. Da un po’ di tempo in qua (direi da 30
anni comunque, ricordate il decisionismo di Craxi?) tutto il problema della
moderna “ingegneria costituzionale” è centrato sulla governabilità, per cui il
problema principale diventa trovare un sistema che permetta di scegliere un
governo, il più omogeneo possibile, di un solo partito possibilmente, che poi
per 5 anni possa fare quello che vuole senza intoppi e senza discussioni; il
tutto a scapito della rappresentatività. E’ ovvio che con un’impostazione di
questo genere poi la maggior parte dei cittadini non si riconosca né nei
governi, tutti di minoranza, anzi, di ristretta minoranza, né in istituzioni la
cui rappresentatività è completamente artefatta. Il problema che si posero i
costituenti nel dopoguerra era invece proprio quella della rappresentanza, per
questo definirono oltre al bicameralismo, leggi elettorali proporzionali, un
numero congruo di deputati, istituirono le regioni, resero elettive le
provincie.
3)
E ora veniamo alla nostra riforma
costituzionale. Essa va nel senso di rafforzare il governo e diminuire la
partecipazione, mentre la legge elettorale rende la nostra una repubblica
presidenziale di fatto. Il combinato disposto riforma costituzionale + legge
elettorale porta ad una situazione in cui il “popolo” non più sovrano sceglie
il suo leader (in italiano “capo”, in latino “dux”) che nei successivi 5 anni
avrà un potere senza contrappesi sostanziali; in una situazione di questo
genere chi avesse tentazioni autoritarie avrà molti meno ostacoli di quanti non
li abbia oggi. In Italia la personalizzazione della politica, il sorgere di
ducetti qua e la è un difetto vecchio, che va contrastato e non favorito. Si
dice che i poteri del governo non cambiano, ma non è vero: tra le corsie
preferenziali e le leggi da approvare a data certa, l’unico soggetto che potrà
proporre leggi sarà il governo, la camera si ridurrà ad un organo che potrà approvarle
o respingerle senza neanche il tempo per discuterle.
4)
Nei decenni che seguirono l’approvazione della
Costituzione si discuteva di come allargare la partecipazione dei cittadini,
rendere le istituzioni vicine alla gente; era il tempo in cui nacquero i
comitati di quartiere spontanei, poi istituzionalizzati nei consigli di
circoscrizione, si criticava la “partitocrazia” proprio perché rendeva
difficile la partecipazione se non attraverso il partito; si criticavano le
doppie cariche, le sovrapposizioni, alcuni partiti inventarono la “rotazione”
proprio per permettere ad un numero maggiore di cittadini di entrare nelle
istituzioni, temporaneamente e, soprattutto senza cessare di essere
“cittadini”. Da 10, 20 anni il processo sembra essersi invertito e così si
aboliscono non le province ma i consigli eletti dal popolo, si concentrano le
cariche (sindaci e consiglieri regionali che faranno i senatori), si pretende
di diminuire i rappresentanti del popolo con la scusa di combattere la casta
(come se non fosse prerogativa di ogni casta, per definizione chiusa, quella di
voler limitarne e controllarne l’accesso).
5)
Bilanciamento dei poteri. Altra caratteristica
fondamentale di ogni democrazia è che ogni istituzione viene bilanciata da altre. Così è negli Usa,
così è (fino al 4 dicembre e speriamo anche dopo) in Italia; ma se il
Presidente della Repubblica, che nomina un terzo della Corte costituzionale,
viene eletto da un Parlamento dove una camera, con rappresentanza artefatta per
via di una legge elettorale iper-maggioritaria, ha una preponderanza netta (630
a fronte di 100 senatori), tutto ciò farà sì che il partito vincitore delle elezioni,
anche se avesse il 30% dei voti, controllerà nel giro di breve tempo presidenza
della repubblica e corte costituzionale: e poi dite che non cambia l’equilibrio
dei poteri!!!!!
6)
Veniamo al Titolo V quello che regola il
rapporto stato – regioni; è vero che la sua modifica del 2001, quando era di
moda il federalismo, ha portato tanti problemi e conflitti di competenza, ma
ciò non è attribuibile tanto all’aumento dei poteri delle regioni quanto
all’indeterminatezza di questi poteri (questo è il risultato di riforme
costituzionali fatte male); oggi si risolve il tutto attribuendo tutti i poteri
allo stato; non si ripristina semplicemente il testo del ’48! Di fatto le
regioni sono completamente svuotate, ridotte come le province, che per altro
vengono abolite; vista la loro sostanziale inutilità mi aspetto che fra qualche
anno venga chiesto di abolirle definitivamente.
7)
Se i pericoli di accentramento, la diminuzione
di partecipazione non ci fossero, sarebbe comunque una riforma da rifiutare
perché pasticciata, scritta da incompetenti, frutto di compromessi per ottenere
di volta in volta la maggioranza che la votasse. La mia impressione di
incompetente (me la son letta tutta, e non è stato facile) varrebbe poco, ma
illustri costituzionalisti e giuristi, di ogni tendenza, sostengono proprio
questo.
8)
Il metodo. L’ho messo volutamente in fondo
perchè i difetti di questa riforma sono tali che da soli giustificano il voto
contrario, anche se proprio in fatto di Costituzione il metodo non è affatto di
secondaria importanza. Mi pare scontato e non starò qui a ripeterne le ragioni,
che una costituzione debba essere condivisa da una larga maggioranza, deve
essere la costituzione di tutti e non di una parte, ma qui siamo in presenza di
una minoranza, giacché il PD, che insieme ad altri partitini tutti nati dopo le
elezioni, è maggioranza alla camera solo grazie ad una legge elettorale
anch’essa iper-maggioritaria, ed al senato è ricorso all’apporto di transfughi
di altre formazioni politiche; se poi aggiungiamo che anche all’interno del PD
questa riforma è stata imposta da una parte (forse) maggioritaria al resto del
partito essa è voluta da una minoranza.
9)
Un’ultima considerazione sulle conseguenze del
voto del 4 dicembre. Da più parti (la totalità della stampa eccezion fatta per
il Fatto e il Manifesto, l’onnipresenza del presidente del Consiglio alle tv
tale da far rimpiangere i tempi di Berlusconi, le cosiddette istituzioni
finanziarie, confindustria) si fa appello al senso di responsabilità degli
elettori perché se dovessero vincere i No l’economia tracollerebbe, le banche
fallirebbero, lo spread salirebbe alle stelle, ecc. Si fa leva sul fatto che il
fronte del No è un’”accozzaglia” non in grado di costituirsi in maggioranza di
governo, che s perde Renzi vien meno la stabilità ecc. Insomma molti, anche in
buona fede si chiedono, ma il 5 dicembre cosa succederà? Il referendum però non
riguarda il governo o la composizione del Parlamento, ma riguarda la
costituzione; la costituzione che uscirà dalle urne ce la terremo per i prossimi
30 o 40 anni; dunque ritengo molto più importante che chiedersi cosa succederà
il giorno dopo, cosa succederà nei prossimi anni; se si ritiene che le
istituzioni come disegnate dalla riforme siano più democratiche efficienti e
coerenti delle attuali è giusto votare Si, siccome io ritengo che saranno meno
democratiche (mi si toglie la possibilità di votare per il senato che rimane!),
meno efficienti (i contenziosi tra i due rami del parlamento, stato regioni)
voterò No, indipendentemente da quello che farà Renzi o Grillo il 5 dicembre.
10) Per
aggiungere un altro punto e fare 10 rispondo alla domanda che già sento: “ma
così sei contro il cambiamento, col No tutto rimane come è adesso”. Questa
Costituzione è in vigore da 70 anni, ha funzionato bene, ha garantito la democrazia,
in questi 70 l’Italia è decisamente migliorata, dunque la cambio solo se mi si
propone qualcosa di decisamente e sicuramente meglio e non è questo il caso.